Ospiti illustri

Casamicciola, una terra ricca di risonanze culturali e artistiche

Sono pochi i luoghi che nel corso del tempo sono stati considerati I’Eden dove poter vivificare lo spirito e rinvigorire il fisico. E davvero doveva apparire una visione unica, fatta di verde e di azzurro, in un nimbo di luce mediterranea al forestiero che veniva da lontano. E se alla bellezza del paesaggio, aggiungiamo il beneficio delle sue acque salutari e la civiltà della sua gente, dall’ospitalità innata, degna degli antenati greci, grande doveva essere la gioia di vivere nel cuore di chi aveva lasciato dietro di sè le malinconiche brume boreali.

            Incastonata come una giada orientale, quasi al centro l’isola, Casamicciola, ridente donatrice di salute, ha attratto nei secoli il fior fiore del gotha europeo e degli artisti e scrittori in cerca di ispirazione.

Nel passato, infatti, Ischia per il forestiero si identificava con il paese di villeggiatura e delle terme per eccellenza e tale fenomeno è durato quasi fino agli anni ’40, come ricorda lo scrittore Domenico  Rea nel numero 1 del periodico “Lettera da Ischia” del 1963. Lo scrittore napoletano ricorda che egli, ragazzo conosceva Ischia, sotto il nome di Casamicciola, un luogo per famiglie, dirà ancora egli, mentre Capri allora appariva trasgressiva e quindi “peccaminosa” e costosa.

Casamicciola ha inoltre avuto l’onore di essere inserita nella Guida Pratica ai Luoghi di soggiorno e di Cura d’Italia, vol. 1 le Stazioni  del Mar Ligure e del Mar Tirreno, edita del Touring Club Italiano nel 1932. Inoltre le prime cartoline edite da Alinari rappresentano appunto il Comune termo balneare da sempre di Ischia. La mia terra, come ho già detto, malgrado i rivolgimenti tellurici, ha esercitato sempre un fascino particolare a causa della sua natura lussureggiante e benefica. Casamicciola fin dal ’700 fu la mèta agognata per tanti viaggiatori, che venivano in Italia per immergersi quella solarità mediterranea, dove il paesaggio è cornice all’arte, dove si incontra la bellezza classica; essa come tutta l’isola era parte integrante di questo sogno, era una tappa piacevolmente obbligata del tour che illustri stranieri consideravano come un dovere verso sè stessi, la loro cultura e spiritualità. La mia terra è stata celebrata nei racconti, nei ricordi e souvenirs che i fortunati viaggiatori scrivevano per la propria gioia e per coloro che non erano potuti partire. Grazie agli scritti, alle incisioni con le quali i racconti venivano illustrati, alle composizioni pittoriche che, come già ho detto, dal ’700 in poi, celebrano questo luogo meraviglioso che è Casamicciola. Sfogliando i cataloghi, ti passano davanti scorci ormai cancellati per sempre, angoli dove l’idillicità gratifica, edifici dalla mole possente, com’erano tutte le costruzioni abitative del tempo. Nei musei, specialmente, nel reparto di arte moderna possiamo ammirare la nostra campagna immersa nel silenzio e nella solarità dei colori il tutto interrotto soltanto dalla classica parracina ai lati del rustico cancello. Ma, prima degli scrittori, dei  pittori, si sono interessati al  luogo che fu anche soggiorno, secondo la tradizione, della Sibilla Cumana, medici , e studiosi delle virtù salutari delle sue acque termali. Basti citare Giovanni Medico figlio di Gregorio Medico in Casamicciola, che nel 1200 accenna ad alcuni bagni del paese, tra cui il Bagno della Spelonca, adesso sommerso dalle acque del mare. II cantore delle acque termali isolane e in special modo di Casamicciola è Giulio lasolino, medico calabrese che, originario di Monteleone, nella sua opera «De Remedi Naturali ...» dedica molte pagine alle fonti ed alle stufe di Casamicciola, soffermandosi in particolare sul bacino idro termale più importante forse di tutta l’Isola, quello del Gurgitello, valorizzandolo appieno. Allora Piazza Bagni era tutta una conca verdeggiante, alla quale affluivano le acque provenienti dalle valli di Ombrasco, di Negroponte, di Sinigaglia. L’attraversavano limpidi ruscelli di acqua termale sulle cui rive le donne lavavano la biancheria (acqua della colata, all’inizio della Cava di Chiappino, dove ora si trovano le Terme Piro). E sono stati essi, i medici  compreso il Giannandrea D’Aloisio che scrive il suo «Infermo istruito» nel 1757 - che celebrando le miracolose acque termali, hanno propagandato le loro virtù, attirando ancora meglio il forestiero in questa terra meravigliosa. Questi si fermavano, si può dire, in punta di piedi, senza essere invadenti, godendo e rispettando gli abitanti del luogo, dai quali cercavano di apprendere antiche consuetudini e racconti che destavano la loro fantasia. Mi piace ricordare un particolare: la proprietaria di una abitazione che, alla Sentinella, era solita fittare ai forestieri, mostra a una scrittrice di origine svizzera, la Bansi, un ritratto di quando lei era giovane bella. La scrittrice riconosce in quel ritratto un’opera di Angelica Kauffmann, nota pittrice svizzera.

Nelle composizioni pittoriche dei secoli scorsi

E Casamicciola conquistò gli artisti stranieri e italiani

Casamicciola, dal sec. XVIII e per tutto I’800 fino alla vigilia del terremoto dell’83, è stata il soggiorno prediletto di moltissimi stranieri tra i quali non mancarono principi e sovrani del centro Europa, compresa la lontana e misteriosa Russia; ma la colonia più fedele e più numerosa era formata da scrittori, poeti e pittori. Non c’era mente illuminata e colta, che non inserisse nella sua esistenza un tour nel favoloso sud e in questo viaggio cosi gratificante, malgrado i disagi da affrontare nel percorrere tutta la nostra penisola, era inserita I’Isola d’Ischia ed in particolare Casamicciola. Si può dire che nella buona stagione erano più numerosi i forestieri che gli abitanti del luogo e una conferma di ciò l’abbiamo dalle cronache riguardanti il terremoto e che evidenziano come le vittime del sisma fossero più numerose degli ospiti. Una delle prime cosiddette «guide turistiche» per la conoscenza della nostra penisola è il famoso Tableau topographique et historique des Isles di Ischia, Procida, Capri, scritto in francese par Ultramountain, e pubblicato a Napoli nel 1822. Nella prefazione a questa preziosa guida per coloro che nel secolo scorso si recavano in Italia, la terra della bellezza classica e della solarità mediterranea, si legge che il Monte Epomeo ed il Vesuvio sono per la maggior parte degli stranieri che viaggiano in Italia le colonne d’Ercole, il termine dove si ferma la loro curiosità, perché, come afferma il nostro anonimo scrittore, è certo che le isole d’Ischia, di Capri, le coste di Sorrento e di Amalfi possono con il loro esempio dare una assai giusta idea delle bellezze particolari che distinguono le province del Sud. E nei secoli scorsi il nostro è stato un paesaggio visto, letto e soprattutto amato, come già è stato detto da altri, da artisti e viaggiatori di ogni parte d’ Europa; ripreso da pittori francesi e tedeschi, russi e inglesi, danesi e austriaci, ai quali poi si aggiungeranno non pochi esponenti della scuola pittorica napoletana, specie nel primo Ottocento. Luoghi passati al filtro della memoria storica e di una sensibilità colta ed aristocratica, descritti con la penna o raccontati con attenzione meticolosa o trasfigurata in chiave fantastica e romantica, mediante le tecniche pittoriche più svariate. A conferma di quanto detto, mi piace citare un passo di uno scrittore di origine anglosassone, il filoso George Berkley che soggiornò al Testaccio dalla tarda estate al primo autunno del 1717. L’autore, affascinato dalla varietà e singolarità del paesaggio ischitano, ne dà una descrizione che non ha niente da invidiare alle composizioni pittoriche: «...Sorgenti e ruscelli accrescono poi la bellezza di questo paesaggio alla cui ricchezza si contrappongono zone rocciose, aride e spoglie... corona la scena una grossa montagna che spicca al centro dell’isola, lungo i fianchi, città e villaggi in opposizione scoscesa, l’uno sopra l’altro, creano uno spettacolo di straordinaria originalità». A tale descrizione sembra - fare eco la composizione pittorica dell’artista napoletano Teodoro Duclere dal titolo “Villaggio ischitano”; questo, caldo e luminoso, si allunga sui fianchi dell’Epomeo, la cui vetta s’intravede appena. La località, situata certamente nella zona di altura sud orientale d’Ischia, ha qualcosa del sogno e come il racconto del Berkley racconta la natura incontaminata. Conoscere Ischia ed in particolare Casamicciola attraverso le opere pittoriche realizzate dal 700 in poi è un viaggio emozionante, che conduce alla genuinità dei luoghi sui quali era intervenuta per secoli solo la natura. Poiché dei luoghi descritti e rappresentati dagli artisti del passato è rimasto ben poco, il confronto con il presente impreziosisce di più queste testimonianze artistiche realizzate da coloro che vollero conoscere l’isola percorrendo centinaia e centinaia di chilometri in cerca della bellezza e della gioia. Così, grazie a questo amore per la nostra terra fissato per sempre su tele, acquerelli, guaches, incisioni, noi possiamo avere un’idea di com’era Ischia, com’era Casamicciola. Come già ho detto Casamicciola è stata la mèta prescelta dalla maggior parte degli stranieri che nel secolo scorso si recavano a Napoli. Tale predilezione la si deve, oltre alla presenza delle acque termali e alla bellezza dei luoghi, anche alla maggiore ricettività turistica della cittadina, che vantava molti alberghi abbastanza accoglienti e situati per la maggior parte nella zona. alta del paese e nei quali si davano addirittura feste per principi e sovrani, come accadde per il principe ereditario di Russia e per il futuro re Federico Guglielmo di Prussia, ospite nel 1828 alla Sentinella. Da questa collina gli artisti amavano ritrarre specie quello scorcio di Casamicciola ancora selvaggio e dove la natura sembrava essersi fermata nel tempo; mi riferisco alla zona che attualmente si chiama Perrone, compresa, anzi quasi abbracciata, dalle piccole alture del Monte Tabor e dello Spalatriello, che giungevano fino alla punta di Perrone. L’arioso e luminoso paesaggio comprendente appunto il Tabor, lo Spalatriello cosi com’era una volta con la nudità e la ripidità delle sue rocce, le “pezze” e le “pezzolle”: un paesaggio che corrisponde agli antichi appellativi dialettali, la piana di Perrone, che appare nella sua solitudine selvaggia appena interrotta da qualche costruzione, possiamo ammirarli nella bellissima composizione del pittore francese Jean Baptiste Camille Corot, dal titolo «Veduta d’Ischia» del 1828; un olio su carta che si può ammirare nelle sale del Museo del Louvre. II paesaggista francese ha voluto inserire anche lui nel suo tour un soggiorno a Casamicciola, anche lui ammirò dalle alture della Sentinella quest’umile zona di Casamicciola e rimase stregato da una natura antica, essenziale e perciò bella. Anche Teodoro Duclere, già menzionato in questo scritto (Napoli 1816-1869 ), ha soggiornato a Casamicciola e a voluto ritrarre sempre dalla Sentinella, forse dal terrazzo di albergo, il paesaggio già caro a Corot. Il dipinto è impreziosito da calde e luminose tonalità cromatiche, mentre le case sono appena accennate per dare spazio ad un paesaggio arcaico. Anche gli artisti danesi giunti nel Sud e quindi a Casamicciola hanno voluto lasciare un segno tangibile dell’amore per questa terra. Infatti il pittore Johann Christian Dahl, giunto a Napoli nel 1820 con il principe danese Christian Frederick soggiorna a Casamicciola nel dicembre dello stesso anno. Di lui abbiamo tre piccole composizioni pittoriche, anch’esse tasselli di una geografia del paese ormai scomparsa. In una di queste il paesaggista danese riprende lo stesso soggetto del Duclere e di Corot, anche lui impressionato dal paesaggio solare e nello stesso tempo selvaggio. Un altro artista della Danimarca, Joergen Roed, è stato a Casamicciola alla fine degli anni Trenta del secolo scorso; anche lui ha trascorso il tempo in qualche albergo o casa privata della sentinella dalla quale potè ammirare la bellezza primitiva ed incontaminata che già aveva colpito gli altri artisti. Anche lui, ritraendo questo paesaggio del Sud, riesce a fissare sulla tela i colori solari del meridione. L’ultimo artista di questo articolo è Consalvo Carelli paesaggista napoletano; dopo alcuni anni rispetto ai pittori precedenti, ritrae anche lui, nell’opera dal titolo “veduta di Casamicciola” lo stesso paesaggio, ripreso sempre dalla parte alta del paese e non da Mezzocammino, com’è stato erroneamente affermato da altri. Anche il Carelli, viene colpito dalla luminosità che sembra avvolgere il paesaggio fatto di nude rocce e dagli appezzamenti di terreni coltivati. S’intravedono sull’estremo lembo le fiamme provenienti dalle “Chiazze”, i luoghi dove si lavorava una volta la terra cotta.

             Lo scrittore Haller, nella sua opera dal titolo L’Isola d’Ischia e pubblicata a Vienna nel 1822, scrive che il centro internazionale balneare è Casamicciola con le terme del Monte della Misericordia, presso le quali vengono curati con le acque del Gurgitello circa 600 poveri  provenienti da Napoli, ma anche molti ospiti stranieri da tutto il mondo. A quel tempo a Casamicciola non esistevano ancora alberghi veri e propri, per cui gli stranieri venivano alloggiati presso case private, tra cui quella della famiglia Monti. Solo fra qualche anno saranno costruiti degli alberghi veri e propri. Dobbiamo essere comunque riconoscenti a questi ospiti, veramente di primordine, grazie ai quali mediante le loro opere pittoriche e i loro racconti, noi possiamo ammirare tuttora gli splendidi paesaggi, gli scorci incontaminati, molti dei quali perduti per sempre, possiamo conoscere la fatica quotidiana dei nostri padri, i loro ingenui divertimenti ai quali il forestiero non disdegnava di partecipare. II pittore Teodoro Duclere, per esempio, nella tela dal titolo Marina di Casamicciola (Museo nazionale di San Martino), rappresenta il litorale del paese, contrada Perrone, con le abitazioni e le fabbriche di terracotta che si affacciavano sul mare e con i mucchi di fascine sulla spiaggia che servivano ad alimentare le fornaci dove venivano cotti gli oggetti di creta di uso comune. Infatti fino ad alcuni decenni fa la terracotta era in primo piano nella nostra vita quotidiana: con tale materiale si realizzavano le «mummole» e le «lancelle» (brocche particolari per l’acqua), la «scafarea» e il «cufunaturo», la «tofa» e il «tufulillo»; perfino i pezzi di tali oggetti, le «crastule», venivano utilizzati dai bambini per giocare. Un anonimo artista del secolo scorso fissa sulla tela, oltre ad un paesaggio che ci ricorda il giardino incantato di Armida ne La Gerusalemme liberata, anche una deliziosa contadinella che scappa mentre viene inseguita da una biscia.
 

MAPPA DEGLI ALBERGHI NELLA PRIMA META’ DEL SECOLO SCORSO

Questi si trovavano tutti sulla collina della Sentinella, data la posizione panoramica del luogo, fa eccezione Villa Maresca, ora hotel Rosaleo, che si trovava a Casa Cumana e che era forse il più vecchio fra gli alberghi, costruito intorno alla seconda meta del ’500 dalla famiglia Ingarriga. Comunque, sulla bella collina dalla quale gli ospiti deliziavano occhi e cuore ammirando uno spettacolo naturale, si può dire sublime, gli alberghi erano situati all’incirca in questo modo: alle falde del colle sorgeva La Piccola Sentinella, poco distante si trovava l’albergo Europa che ospiterà il grande Ibsen; più a mezza costa si incontrava l’hotel Villa Sauvè. Sulla cima c’era I’hotel Bellevue, un albergo a tre piani chiamato più comunemente Villa Zavota, ora Villa dei Pini, dominante quasi perpendicolarmente l’abitato di Lacco; tale albergo avrà come ospiti, tra gli altri, il re Gioacchino Murat nel 1808 e dopo la ferita di Aspromonte, anche Giuseppe Garibaldi. Nella villa, ora di proprietà della principessa Parodi, si può ammirare un dipinto del pittore Carelli che ce ne tramanda la struttura e la posizione. Infine a destra si poteva ammirare La Grande Sentinella, elevantesi a piramide sul punto più alto del promontorio, che scende a picco sul mare. Tra i suoi ospiti ricordiamo il Lamartine, autore del romanzo Graziella ambientato nella vicina isola di Procida.
 

L’ARRIVO ALLA MARINA E IL PERCORSO DEGLI OSPITI FINO AGLI ALBERGHI

            Lo scrittore Bergsoe, amico del grande Ibsen, racconta che non appena il battello a vapore aveva gettato le ancore alla rada, subito una moltitudine di persone si accalcava sulla riva; tutti gridavano in direzione dei nuovi venuti prima ancora che le barchette toccassero terra. Ciucciari, guide improvvisate, facchini, tutti insieme offrivano i loro servigi ai forestieri. II pittore Marco De Gregorio della scuola di Posillipo, in un olio su tela che erroneamente si intitola Anacapri (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna), rappresenta in maniera minuziosa e divertita il passaggio delle carovane dei forestieri a cavallo di asini e muli, che avanzano tra l’indifferenza degli abitanti del posto, abituati a simili spettacoli, mentre i facchini portano i bagagli degli ospiti a piedi. Per inciso, nella bella tela si possono anche ammirare sia gli abiti e le silhouettes degli ospiti, e sia quelle degli abitanti del posto, tra i quali spicca una bella ragazza in costume che non ha niente da invidiare alla bella signora straniera a cavallo dell’asino. In questa temperie, in questo clima pittoresco si avvicendano, come ho detto, nobili, studiosi e artisti, trovandosi perfettamente a proprio agio con la gente locale, ospitale ma non servile. Qualche volta capitava che principi di sangue blu si innamorassero delle fanciulle paesane affascinati dalla calda e genuina bellezza mediterranea, come forse accadde al futuro re di Prussia Federico Guglielmo IV.

ETIENNE CHEVALLEY DE RIVAZ

            Nei primi decenni del secolo XIX Casamicciola ospiterà Etienne Chevalley De Rivaz, medico della corte borbonica di origine francese; egli diventerà nostro concittadino e si fermerà per sempre nel centro termale isolano, conquistato dalla salubrità e dalla bellezza dei luoghi, e conoscitore delle virtù terapeutiche delle acque del Gurgitello. Cosi costruirà Villa Sauvè, attrezzando nelle vicinanze di questa il primo gabinetto medico per le cure termali, dove egli darà gratis i consigli necessari perché la cura sia proficua. Un registro mostratomi negli anni ’70 dal diretto discendente dell’illustre medico con l’elenco degli ospiti e i loro autografi, mi fece comprendere la rinomanza dell’albergo, e, come Casamicciola fosse diventata la stazione termo-balneare internazionale di moda. Purtroppo credo che questo registro sia andato perduto e mi auguro che se qualcuno degli eredi l’abbia tra le carte, lo faccia conoscere alla comunità, perché lo ritengo un tassello importante per la storia del turismo casamicciolese e isolano. Come conclusione, voglio accennare a una lettera di un anonimo svedese che nel 1825 fu a Casamicciola e che pubblicò lo scritto sul giornale Ateneum. In tale lettera, molto lunga, egli racconta come per tutta la notte, proveniente da S. Lucia, remasse con dei conoscenti fino a Casamicciola, dove sostò sulla Sentinella. Egli, conquistato completamente dal luogo, sopportò volentieri qualche disagio, come la mancanza di acqua fresca. Lo svedese così termina la sua lettera: «... Tu, isola benedetta, tu sei cosi attraente per la nostra fantasia, cosi silenziosa, cosi tranquilla come se la pace del cielo riposasse su di te. Troverò mai in questa terra solo un’ombra di te?».

Fonti: Mons. Pasquale Polito, Ibsen e Renan nell’isola d’Ischia.

03.04.1997

Dalle brume del Nord essi nei secoli scorsi venivano in Italia per immergersi nella solarità mediterranea

Casamicciola la meta agognata da tanti viaggiatori stranieri

            Gli ospiti amanti del nostro paese venivano quasi sempre a gruppi e, a seconda della nazionalità e delle possibilità economiche, alloggiavano negli stessi alberghi o abitazioni private; cosi per esempio i danesi, giovani studiosi che giungevano in Italia grazie ad una borsa di studio, preferivano alloggiare presso le abitazioni dei contadini del luogo, passandosi magari il nome e l’indirizzo del proprietario. Provenienti dalla Prussia, dalla Slesia e dalla Baviera, appartenenti spesso alla piccola e grande nobiltà teutonica, insieme con il loro seguito (studiosi e artisti), soggiornavano negli alberghi, cosi pure la colonia inglese e francese. Anzi, c’erano gli alberghi preferiti dai primi e quelli privilegiati dai secondi, mentre qualche altra struttura alberghiera aveva una clientela aristocratica e cosmopolita. E come il paese è stato rappresentato in tante composizioni pittoriche, sia per la bellezza del paesaggio, sia per alcuni aspetti della vita quotidiana che avevano incuriosito il forestiero, così la penna di tanti scrittori o il diario di semplici viaggiatori tramandano consuetudini secolari, aneddoti divertenti, fermano per sempre sulla carta il ritmo, lo scorrere di quel tempo.

LA BELLEZZA CLASSICA RAPPRESENTATA E DESCRITTA

La pittrice Angelika Kaufmann, di origine svizzera, ritrattista della corte borbonica e amica della regina Maria Carolina, venne ad Ischia (Casamicciola) una prima volta nel 1773 e una seconda volta nel 1784. dimorò alla Grande Sentinella. Una testimonianza del soggiorno della pittrice ce la fornisce  la pittrice scrittrice svizzera Barbara Bansi, che nel suo diario di viaggio ricorda come la padrona dell’albergo, ormai anziana, siamo nel 1805, parla di una pittrice che le aveva fatto il ritratto quando era molto giovane perché la trovava bella; é molto probabile che il ritratto di donna dal viso e dal corpo armoniosi che si trova a Londra presso una collezione privata e attribuito alla Kaufmann, sia appunto quello della bella casamicciolese; infatti un particolare non trascurabile è il Vesuvio sullo sfondo, ripreso probabilmente da una terrazza della Sentinella. Barbara Bansi è convinta che gli isolani, e in particolare gli abitanti di Casamicciola, conservino i lineamenti evocanti la cosiddetta bellezza classica, riscoperta dagli studiosi del ’700: bellezza classica nella quale trionfa la cosiddetta «sezione aurea», scoperta dai greci, capace di realizzare la divina armonia e che ancora possiamo ritrovare nei tratti somatici di qualche isolano.

LE PRA’EFICAE, LE DONNE PREZZOLATE PER PIANGERE AI FUNERALI

            Ma Barbara Bansi si mostra anche attenta e partecipe osservatrice dei costumi della popolazione del posto. Infatti a Casamicciola, nel secolo scorso, era ancora viva l’usanza, risalente al mondo classico, delle donne pagate perché piangessero il morto, esaltandone le virtù (se la memoria non mi tradisce, troviamo tale usanza anche nei poemi omerici). La pittrice-scrittrice svizzera rimane colpita da un episodio al riguardo veramente singolare. Alcune donne, il cui mestiere era quello di piangere ai funerali, furono chiamate dai familiari di una persona morta perché tra grida e pianti facessero conoscere ai visitatori le virtù del defunto. Esse, dopo aver pianto quanto era necessario secondo l’usanza, furono pagate e licenziate; appena uscite dall’abitazione dell’estinto, si vantarono tra loro a chi fosse stata la più brava e convincente, finendo addirittura con il litigare, tra lo sconcerto della scrittrice che ha voluto inserire l’episodio nel suo Diario di viaggio.

VITA SEMPLICE CON I PASTORI DI CAPRE

Fino agli anni ’40 di questo secolo, una delle attività della popolazione di Casamicciola era la pastorizia e, poiché le brevi lande pianeggianti somigliavano piuttosto a brughiere che a pascoli opimi, erano le capre ad essere allevate e i caprai andavano in giro per il paese con i loro greggi per vendere il latte appena munto alla gente.   A Perrone, dove tale attività coinvolgeva più persone e i pastori abitavano lungo il litorale, nel piccolo villaggio chiamato «Le Pezzolle» (forse da pezula, neogreco, piccoli appezzamenti di terreno), esistevano abitazioni particolari con la stalla a piano terra e l’abitazione del pastore ai piano superiore, mentre qualche soprannome tuttora ricorda le famiglie dei caprai abitanti in questa contrada di Casamicciola. Così il tedesco Carlo Augusto Mayer, nel 1834, abitò con un’altra famiglia proveniente dalla Renania, in una piccola abitazione vicino al mare. Egli racconta che al ritorno dalla spiaggia faceva colazione con un buon bicchiere di latte fresco, mentre il pasto consisteva nei buoni prodotti locali. Ma egli non è l’unico, perché anche Peter Holst, giovane poeta danese, sceglie come tanti altri connazionali l’abitazione di un contadino di nome Vincenzo, dove il trattamento era a livello familiare. Credo che il sole luminoso e caldo, la serenità dei luoghi, la bellezza del paesaggio rendessero bello il soggiorno, mi riferisco alle abitazioni private, anche se forse non tanto confortevole.

FESTA DI CARNEVALE AD ISCHIA

            Tra il 1828 e il 1830 vennero ad Ischia tre poeti tedeschi, tra questi c’era lo slesiano August Kopisk, il quale dimorerà a Napoli per tre anni venendo più volte a Casamicciola. Insieme con il futuro re Federico Guglielmo IV, abitò alla Sentinella e in questo periodo scrisse una novella dal titolo festa di Carnevale ad lschia, nella quale narra come uno stimato proprietario terriero, don Antonio, venga deriso per la sua calvizie da un duca napoletano che fa la corte alla stessa giovane donna che l’anziano don Antonio aveva nel cuore. Per salvare il suo onore, viene organizzato dai suoi amici, un grande banchetto, al quale sono invitati tutti i calvi del posto. Questi in gran numero giungono da tutte le parti dell’isola. La festa ha già raggiunto il culmine, quando perviene la notizia che la violenta tempesta ha  rovesciato una barca nelle vicinanze; si corre in aiuto per trarre in salvo i naufraghi. Ma quale sorpresa! Ogni volta che si cerca di salvare qualcuno prendendolo per i capelli, rimane una parrucca tra le mani dei soccorritori. Sono i calvi che non avevano partecipato alla festa e che volevano scappare a Napoli, e fra questi c’è anche lo scortese spasimante della bella donna Teresa. La festa si conclude che anche la donna compare mascherata, ma don Antonio la riconosce e cadono l’uno nelle braccia dell’altra. Poi viene subito chiamato il notaio per stipulare il contratto di matrimonio e, come nelle favole, essi vissero felici e contenti.

Fonti: Paolo Buchner, Gast auf Ischia, traduzione del prof. Nicola Luongo; II mito e l’immagine, edizione Nuova Eri.

 

La felicità ritrovata nei diari di viaggio degli ospiti stranieri

            Gli ospiti provenienti dalle fredde e brumose lande nordiche, vengono rapiti dallo spettacolo di bellezza che il paesaggio offre alla loro vista, specialmente dalla collina della Sentinella in Casamicciola, e questa gioia di vivere la trasmettono a noi attraverso i loro scritti. La svizzera Barbara Bansi, che come già ho detto, è stata a Casamicciola nel 1805, così descrive il patio del suo, albergo: « Una terrazza ombreggiata dai rami di mirto, adibita a  sala d’ingresso e dalla quale si gode una vista incantevole».  La descrizione della Bansi ci ricorda la composizione di Angelica Kaufmann, che aveva soggiornato nello stesso albergo trentadue anni prima, nella quale la pittrice, oltre a dipingere l’allora giovane e bella padrona di casa, rappresenta anche il terrazzo incantevole e ombroso, con il Vesuvio sullo sfondo. Inoltre la Bansi evidenzia anche il carattere generoso, oltre alle fattezze nobili e piacenti della padrona di casa, una matrona di 82 anni. Infatti questa era stata appunto la modella della più nota pittrice svizzera. Quest’ultimo particolare genera in Barbara Bansi una certa emozione perché ella si trova nella stessa abitazione della più nota sua connazionale e che ha conosciuto la donna che aveva fatto da modella a quest’ultima. Tutti coloro che hanno inserito nei secoli scorsi la nostra isola e quindi Casamicciola, quale tappa obbligata del loro tour culturale, lasciano traccia della felicità incontrata nella terra del sole nei loro scritti, nei loro diari di viaggio. Dalle algide e crepuscolari lande del Nord il poeta e scienziato Johann Castenhuch nel 1824 giunge a Casamicciola per curarsi con le acque del Gurgitello. Celebra nei suoi scritti le bellezze dell’isola, soffermandosi soprattutto su quelle di Casamicciola; è stato il primo danese, secondo Paolo Buchner, a raccontare le sue impressioni su Ischia, lui, un poeta romantico che si interessava anche di zoologia e anatomia. Attento osservatore, costretto a stare in casa per le cure con l’acqua minerale per il suo malanno al piede, deve essere accompagnato alle acque del Gurgitello a dorso di asino, messo a disposizione dal proprietario del suo alloggio. Egli ricorda lo scampanìo delle campane di una piccola chiesa a circa cento passi dalla casa, il cui scampanìo ricordava al poeta piuttosto una tarantella o la melodia di altre danze; forse erano le campane di uno degli oratori che al tempo sorgevano al Maio. E solo al tramonto, ricorda l’ospite danese, si udivano i toni forti propri di una campana che si rispetti. Forse erano quelle della vicina parrocchia di Santa Maria Maddalena, crollata col terremoto dell’83. II suono delle campane, egli dice, invitava a cantare e a rivolgere questi canti alla Madonna in tutte le case.

ANTICHE USANZE ISCHITANE RICORDATE DAL DANESE

HANS PETER HOLST

            Hans Peter Holst, poeta e amico del connazionale Andersen (quest’ultimo e stato forse l’unico straniero a non essere contento del suo viaggio da Napoli ad Ischia, pieno di peripezie e in pieno inverno), è a Ischia nel 1841. Egli sceglie Casamicciola, che allora era il luogo preferito dagli ospiti provenienti dalla Scandinavia. Anche lui è alloggiato presso Vincenzo, un contadino del luogo, presso il quale, come già ho avuto modo di dire, amavano recarsi appunto i danesi. A lui si unì pure Auguste Bournonville, suo connazionale e fondatore del balletto danese; a proposito di quest’ultimo, si sa che gli abitanti del posto, avendo saputo della sua bravura nella danza, gli chiesero di esibirsi, ed egli improvvisò una tarantella insieme con altre persone. Holst ed Auguste Bournonville percorrono l’isola in lungo e in largo per conoscerne le varie contrade, usando naturalmente come mezzo di locomozione il docile asino; non manca nelle loro escursioni l’ascensione al Monte Epomeo, di prammatica per tutti i forestieri che venivano all’isola. II danese scrive ben 46 pagine sull’isola e i suoi abitanti e anche molte poesie. Tra l’altro, egli annota le sue impressioni sulle fasi del fidanzamento isolano a cui fa seguito il contratto di matrimonio. II danese viene colpito soprattutto dalle reazioni delle donne che evidenziano il loro temperamento mediterraneo; infatti la cosiddetta “stima” riguardante la dote, alcune volte si trasformava in litigi, baruffe e capelli strappati, se tale stima non era di gradimento dei familiari. Lo scrittore e poeta ci tramanda ancora un particolare riguardante la Settimana Santa del tempo, quasi un fuori-programma per lui, e che si verifica nella chiesa Cattedrale d’Ischia: un giovane sacerdote, accorgendosi che la sua predica non veniva seguita con particolare attenzione, lanciò il suo zucchetto in direzione di due donne che chiacchieravano continuamente. Molto più convincente, invece, fu il vescovo del tempo mons. Giuseppe D’Amante, che colpisce particolarmente i presenti nel tempio di Dio. Le sue parole sono così forti, che i presenti addirittura si spaventano per la gravita dei loro peccati e le donne incominciano a piangere e a queste si uniscono anche gli uomini, e tutti cadono in ginocchio chiedendo perdono. II vecchio prelato incomincia a flagellarsi, imitato da alcuni giovani sacerdoti incoronati di spine che mentre si flagellavano, seguivano in processione una croce all’interno della chiesa, II momento diventa altamente drammatico, urla e lamenti si sentono sotto le volte del tempio; alla fine le donne fanno ritorno alle loro case dopo aver ricevuto ciascuna la propria penitenza da fare, gli uomini rimangono ed esprimono il loro pentimento percorrendo in ginocchio la chiesa, strisciando la lingua sul pavimento. Onestamente, anche per me e stata una scoperta, un tuffo nel passato in cui il Medio Evo appare ancora molto vivo, Comunque il giovane danese, pur rimanendo parecchio impressionato da tale esasperazione religiosa, tanto da riportare l’episodio nel suo diario, considera il suo lungo soggiorno a Casamicciola, ad Ischia come il più bello di tutti i suoi viaggi.

La felicità ritrovata, diventata ispiratrice di poesia

            Introduzione - II paesaggio solare, la natura rigogliosa e le salutari acque termali donano a questi amici di Ischia e della poesia quella sorta di incantamento, quel particolare stato di grazia che è l’ispirazione e per il Lamartine è l’amore che fa cantare il cuore.  L’isola appariva loro come l’alba della creazione, incontaminata, naturalmente affascinante, senz’ombra di artificio. I tre grandi scrittori, totalmente presi dalla solarità delle nostre contrade e conquistati dalla civiltà degli abitanti, scoprono la semplicità della vita fatta di cose essenziali e di sentimenti genuini. I loro diari, le lettere agli amici, gli schizzi che illustrano i loro ricordi di viaggio, sono forse le uniche possibilità che al presente abbiamo per conoscere la realtà isolana di un tempo, ora in gran parte scomparsa.

ALFONSO LAMARTINE

«C’est I’ile de mon coeur/C’est I’oasis de ma jeunesse/C’est le ripos de ma maturitè » (E’ l’isola del mio cuore/è l’oasi della mia giovinezza/è il riposo della mia maturità). Così definisce l’isola il giovane poeta francese che ama il nostro Paese, l’Italia, l’antica Saturnia Tellus prima di averla conosciuta de visu, attraverso la descrizione, le pagine di diario dl tanti illustri viaggiatori che lo avevano preceduto. Napoli lo affascina con la bellezza del paesaggio e l’incanto del suo golfo più dei monumenti. E’ il 1812: dalla capitale partenopea un mattino d’estate egli raggiunge Ischia insieme con l’amico Virieu; la traversata notturna con la barca a remi di Andrea il pescatore dura alcune ore. All’alba gli appare uno spettacolo incomparabile, unico: Ischia che diventerà la sua patria di elezione con i vari soggiorni a Casamicciola. Ecco come il Lamartine ricorda l’apparizione dell’isola: « Essa mi compariva per la prima volta (notate l’imperfetto che rende molto bene la scoperta graduale di Ischia man mano che la barca si avvicina ) nuotante nella luce, sorgente dal mare, perduta nell’azzurro del cielo!». «E’ l’isola del mio cuore, il paradiso di verde e di silenzio » dirà ancora. Un altro fresco bozzetto della nostra terra lo ritroviamo in questa stupenda descrizione che ci riporta ancora una volta, e non senza nostalgia, indietro nel tempo: «Oggi villaggio ha la sua marina; Si chiama cosi il piccolo porto dove galleggiano le barche dei pescatori e dove dondolano gli alberi delle imbarcazioni a vele latine. I pennoni toccano gli alberi e le vigne della costa».
            In un altro passo il poeta rivela tutto il suo animo romantico e sognatore «Non c’è una sola di quelle case egli dice sospesa ai declivi delle montagne, nascosta in fondo alle gole, elevata sopra una delle spianate, proietta sopra uno dei promotori, addossata al suo bosco di castagni, ombreggiata dal suo gruppo di pini, recinta dalle sue bianche arcate e dalle pergole pendenti che non sia il soggiorno ideale di un poeta o di un amante».

PRIMO SOGGIORNO DEL POETA A CASAMICCIOLA NEL ’1821

II poeta, felicemente sposato con la giovine inglese Marianna Birch, da Napoli, dove lavora presso l’ambasciata francese, torna ad Ischia, soggiornando a Casamicciola per un lungo periodo: Casamicciola dove le belle e panoramiche abitazioni gli richiamano alla mente il soggiorno ideale di un poeta o di un amante vagheggiato tanti anni prima. Egli, poeta affermato e sposo felice, abiterà un una dimora incantevole tra cielo e mare, chiamata da lui La Sentinella: è l’albergo Grande Sentinella a forma di piramide. Qui trascorre un periodo di felicita e di ispirazione forse irripetibile. Questa felicità senza ombre e in perfetta simbiosi con il luogo dove dimora, traspare pienamente dai versi di alcune sue liriche dedicate ad Ischia. Dirà infatti che tanta era la gioia di vivere che provava, da sentire il bisogno di comunicarla con i suoi versi, agli altri, agli amici. E’ in questo periodo che egli compone il poemetto dedicato ad Ischia, poesia che canta l’amore felice e sgorga dal cuore di un uomo in armonia con sè stesso e con il mondo che lo circonda. Pur vivendo in questo stato di grazia, egli è curioso, partecipe dei sentimenti e delle tradizioni degli abitanti del luogo e proprio in questo poemetto inserisce. un antico canto isolano che l’amata ha per il suo uomo, avventuratosi sul mare per la pesca. II poeta immagina che lassù, in una di quelle casette che si ergono sulla collina, la fanciulla abbia acceso un lume vicino alla finestra perché il suo innamorato dal mare, dalla sua barca, lo può vedere e quindi, sapendosi atteso, affrettare il suo ritorno. Egli, il poeta, immagina che la giovane, accompagnandosi col suono del liuto, faccia sentire nella sera un dolce canto, un arcano invito: «Vieni dice ora il mondo tace nel silenzio amoroso... è l’ora: ecco riappare della vela il candore che da lungi ci porta il mite pescatore». I versi, cosi fluidi e armoniosi anche nella versione italiana, più che dal cuore della fanciulla, sgorgano dal cuore innamorato del poeta.

LE GIORNATE DI LAMARTINE A CASAMICCIOLA

II Lamartine non solo descrive nelle lettere ai suoi amici la bellezza e la suggestione dei luoghi dove egli abita, ma, fa addirittura il diario delle sue giornate isolane felicemente trascorse tra passeggiate, letture, musica, conversazione, ma anche escursioni oltre, alle cure termali. Egli non dimentica mai di far cenno alla bellezza degli aranceti il cui profumo gli era venuto incontro sulla brezza del vento la prima volta che egli approda all’isola; profumo chi aveva lasciato per sempre il segno nel poeta.  Più di una volta, egli ricorda nei suoi scritti le passeggiate a dorso di asino con i suoi cari per i sentieri che attraversavano appunto gli aranceti di cui una volta era ricca Casamicciola e dei quali qualche segno esiste ancora, anche negli appellativi dialettali, II poeta non manca di humour, quando parla delle escursioni. «Appena dopo cena - racconterà il nostro  - ci aspettavano fuori dall’abitazione quattro asini che sembravano desiderosi di trasportarci in giro». Erano in quattro anche loro, i Lamartine, il poeta, la moglie, la  suocera e lo scudiero di quest’ultima; la comitiva s’inerpicava a dorso di asino, lungo gli erti e gli accidentati sentieri che conducono all’Epomeo, forse quelli di Cava Fontana oppure quelli che portano a Celaria. Ad un certo punto succede l’imprevisto: la signora Birch, la suocera, rotola in un burrone seguita dal suo scudiero, la povera donna piange e la moglie Marianna si spazientisce a vedere la mamma in difficoltà. Notate l’ironia gentile di Lamartine: Marianna avrà gridato contro il poeta, vedendo la mamma in difficoltà, ma lui rimane calmo e dice gentilmente «s’impazientisce », anzi si diverte, il poeta, e ride allo spettacolo  involontariamente comico e  così lo racconta agli amici.

Henrik Ibsen

"quello strano, luminoso bagliore" del Sud

HENRIK Ibsen nasce a Skien il 1828 e muore ad Oslo il 1906. E’ il più grande drammaturgo dell’epoca moderna liberandosi completamente dai vecchi schemi della tragedia classica. Compone numerosi drammi ma i suoi capolavori, forse, li realizzerà durante il suo soggiorno in Italia. Per un rovescio finanziario del padre è costretto a lavorare come commesso di farmacia, combattendo fin dall’adolescenza contro le meschinità della vita sociale.
            Nel 1850 compone il suo primo dramma, Catilina, ispirandosi alla storia romana; in esso egli anticipa quelli che sono i temi ricorrenti in tutta la sua opera futura. Diventa direttore del teatro civico di Bergen e con lo stipendio ottenuto per tale carica si affranca dal bisogno per dedicarsi maggiormente al teatro. La conoscenza delle opere teatrali di Holberg e di altri drammaturghi scandinavi arricchisce le sue tematiche e approfondisce i motivi eroici e drammatici del nostro. E’ il periodo in cui si ispira per i suoi drammi alle saghe nordiche senza però raggiungere ancora la piena maturità del suo genio artistico.
            Deluso dal comportamento dei suoi connazionali, che non erano intervenuti in aiuto del popolo danese sopraffatto dalle truppe del re di Prussia, Ibsen va via dalla Norvegia in volontario esilio e sceglie come nuova patria l’Italia, il favoloso Sud, la terra promessa per tanti uomini di cultura provenienti dalle terre del Nord e abituati a convivere con una natura severa, quasi minacciosa e le brume delle loro latitudini.
            In Italia egli può dedicarsi con una certa tranquillità al suo lavoro di drammaturgo grazie anche a una generosa borsa di studio elargita dal governo norvegese per l’intervento di alcuni intellettuali suoi amici.
            Mi piace riportare le parole di Henrik Ibsen di fronte a Miramare che appare in tutta la sua radiosa bellezza: « Partii per il Sud attraverso la Germania e l’Austria, attraversai le Alpi il 9 maggio (1864). Sulle alte montagne le nuvole erano sospese come grandi, scuri sipari, sotto cui noi, passando, attraversammo il tunnel e improvvisamente ci trovammo presso Miramare, dove la bellezza del Sud, uno strano luminoso bagliore, abbagliante come marmo bianco, improvvisamente si manifestò ai miei occhi e segnò tutta la mia produzione a venire, anche se non tutto in essa era bellezza».
            Come tanti altri viaggiatori del suo tempo, subisce infatti l’attrazione di questa magica terra: la cultura, la spontaneità, lo stile di vita, il clima, i colori, l’architettura hanno una positiva influenza su di lui.

IL SOGGIORNO A CASAMICCIOLA

            Enrico Ibsen nei drammi appunto realizzati nel nostro paese forse riesce ad esprimere il meglio di sé come messaggio poetico ed epico. Egli sembra infatti diventare un altro uomo, gettando alle spalle la sua cupezza e l’amarezza per la sfortunata guerra danese, sembra che voglia vivere solo per la sua poesia, e i grandi temi già anticipati nelle opere composte prima della sua venuta in Italia, ora sono espressi nella maniera più compiuta e perfetta. A Roma, dove egli subisce il fascino della città eterna e dove è soggiogato dalla grandiosità dei monumenti come la Basilica di San Pietro e la maestosa ed elegante cupola michelangiolesca, compone il dramma dal titolo Brand, dal nome del protagonista. In tale opera si avverte la volontà dell’uomo a perseguire il suo ideale, la propria aspirazione alla perfezione, a costo anche della vita; Brand che aspira all’assoluto, però, si smarrirà nella montagna di ghiaccio morendo senza raggiungere la mèta, e solo alla fine quest’eroe così rigido nel suo ideale di perfezione dimostra di possedere una tenue fiammella d’amore: infatti le ultime parole di Brand sono: «L’Essere Supremo e un Dio di carità». A Roma egli medita il Peer Gynt e quando giunge a Casamicciola nel maggio del 1867, porta con sè i primi appunti del dramma che poi sarà sviluppato durante il soggiorno dello scrittore all’Albergo Europa, cioè Villa Pisani  e ora Villa Ibsen.  Uno studioso ibseniano, il prof. Ladislav Reznicek, così parla del luogo in cui soggiorna Ibsen: « E’ possibile assaggiare l’acqua del mare e risalire il ripido sentiero che porta alla Sentinella dove si trova Villa Pisani. Occorre un quarto d’ora di cammino per raggiungere il luogo dove è facile prendere il volo verso un paese favoloso non desta meraviglia che Peer Gynt abbia costruito qui i suoi castelli aerei. » II Peer  Gyn risente dello stato di grazia in cui lo scrittore si trovava e che lo fa lavorare malgrado il caldo e anche di buon umore, come egli scrive ad Hegel nell’agosto del 1867. La natura mediterranea della nostra isola si avverte nelle pagine del Peer Gynt e non solo questa, ma forse anche l’indole, il carattere delle persone del luogo che egli ha modo di conoscere. In questo dramma il contrasto tra la vita estetica e quella morale esiste ancora ma è sdoppiato nei due protagonisti, l’allegro e spensierato Peer e la dolce Solveig, ambedue cosi somiglianti sotto certi versi alla nostra gente. Lui è un marinaio in cerca di avventure e si discosta nel suo viaggiare allegramente e senza remore dalla norma morale. Solveig fa pensare alle nostre donne nella loro attesa fedele del ritorno del proprio uomo che navigava per i mari non in cerca di avventure, ma di un tozzo di pane. Ella non gli è fedele solo in ossequio alla regola di vita che si è imposta, ma anche per amore; questo amore diventato quasi materno quando alla fine Peer ritorna non più allegro giullare, ma uomo deluso e avvilito, salverà e riscatterà quest’ultimo.

«CASA DI BAMBOLA»

            Lo scrittore lascerà Casamicciola alla fine dell’estate forse impressionato da una leggera scossa di terremoto, trasferendosi a Sorrento, dove qualche anno dopo comporrà il dramma Spettri. Nel giugno del 1879 egli è ad Amalfi e realizza Casa di bambola, un dramma dei nostri tempi, i cui personaggi principali già vivevano nella sua coscienza e nella sua mente da tempo. In tale opera non solo ci rappresenta la lotta dell’uomo che tende alla propria libertà senza riuscire peraltro a liberarsi dei propri limiti e del convenzionalismo degli schemi sociali stratificati, ma l’autore per la prima volta nella storia della cultura mette in discussione la condizione della donna vista dal lato di lei. In Casa di bambola Ibsen appunto evidenzia come tutto nella società è visto nell’ottica del maschio; nel dramma sono perfettamente delineate le ingiustizie e la considerazione meschina in cui la donna è tenuta e la lotta sofferta di Nora per affermare la propria dignità e personalità non solo di donna, ma di essere umano, di fronte al perbenismo ipocrita e vile del marito.

            II pensiero del grande drammaturgo norvegese e tuttora attuale nella nostra società fatta di contraddizioni, alcune volte di comportamenti esasperati e dove i contrasti tra opposti egoismi alcune volte portano ora come allora a risvolti drammatici.

CASAMICCIOLA RICORDA

Casamicciola più di una volta si è ricordata del genio venuto dalle lande nordiche, in cerca di ispirazione e gioia di vivere, nel nostro paese. Essa lo ricorda con una lapide posta in Piazza Marina nel 1928, nel centenario della nascita del grande poeta e la cui epigrafe fu dettata dal commediografo Achille Torelli. Nel cinquantenario della morte, e cioè nel 1956, ci furono a Casamicciola le celebrazioni ibseniane con la rappresentazione di Casa di bambola e la recita di un brano del Peer Gynt da parte di Arnoldo Foà. Nel 1988, con il patrocinio del Comune di Casamicciola Terme, all’Albergo Cristallo ci fu un incontro con rappresentanti dell’ambasciata norvegese a Roma e con lo studioso di cose ibseniane prof. Ladislav Reznicek. In tale occasione, chi scrive ebbe l’onore di parlare agli ospiti convenuti del pensiero del grande norvegese e in particolare del Peer Gynt, nel quale ella notava l’influenza che l’autore ebbe e dal paesaggio e dal clima e soprattutto dalla conoscenza delle persone del posto con cui aveva modo di incontrarsi. Alla fine dell’incontro gli illustri ospiti norvegesi furono particolarmente felici di rifare, anche se in automobile e in sua compagnia, la passeggiata che tutte le sere Henrik Ibsen faceva al tramonto insieme col suo amico Bergsoe, nella lontana estate del 1867, e cioe da Villa Pisani, percorrendo la via Borbonica fino ad una cappellina votiva, da cui poteva ammirare gli splendidi tramonti foriani, come ha ricordato Mons. Pasquale Polito nella sua opera intitolata Ibsen e Renan a Roma a Napoli e nell’isola d’Ischia.

Il genio di Henrik Ibsen si incendia di mediterraneità

“ O come vorrei restare su questa terra per vivervi tutta la mia vita” (Henrik Ibsen)
            Anche per il padre del dramma moderno l’incontro con la luminosità delle terre mediterranee è come una sorta di folgorazione; anche per lui, abituato al pallido sole boreale, l’Italia e quindi Ischia divengono la meta agognata dove si incontra la bellezza ideale.

CENNI BIOGRAFICI

H. Ibsen nasce a Skien il 1828 e muore ad Oslo nel 1906. Casamicciola ricorda i due avvenimenti: nel 1928 c’è la commemorazione della nascita con la lapide e il medaglione in bronzo che si può ammirare in Piazza Marina. Nel 1956 Casamicciola festeggia il cinquantenario della sua morte con una serie di manifestazioni ibseniane realizzate nell’estate di quell’anno.
E’ il più grande drammaturgo dell’epoca moderna, liberandosi completamente dai vecchi schemi della tragedia classica; è il rinnovatore non solo della letteratura scandinava, ma del teatro contemporaneo, per i suoi drammi a carattere filosofico e sociale, nei quali professa l’individualismo e una concezione pessimistica della vita. L’arte di Ibsen vuole scandagliare più profondamente l’animo dei suoi personaggi, soprattutto quelli femminili, dandoci per questo motivo dei veri e propri capolavori. Ibsen, deluso per il comportamento dei suoi connazionali che non sono intervenuti in difesa dei danesi aggrediti dall’esercito prussiano, preferisce andarsene in volontario esilio e sceglie come seconda patria l’Italia: siamo nella seconda meta dell’800. Qui potrà lavorare con una certa serenità grazie alla borsa di studio offerta dal suo Paese e alla generosità di alcuni amici. Ma è l’habitat che si rivela completamente congeniale all’uomo e al poeta.
             Nel 1867, e precisamente il 20 maggio, giunge a Casamicciola con la sua famiglia, dopo essere stato per alcuni anni in altri luoghi d’Italia e soprattutto a Roma. I tre mesi che Ibsen visse in questa terra di fiaba rimasero nella sua memoria come un punto di grande luminosità, tanto che il grande drammaturgo cosi si esprime: «II suolo agisce profondamente sulle forme nelle quali si esprime Ia forza dell’immaginazione».
            Egli infatti è subito preso dallo splendore della natura e dall’indescrivibile armonia nelle forme e nei colori. Ed è per lui un periodo fecondo di ispirazione cosicchè gli appunti riguardanti il poema romantico Peer Gynt, portati da Roma, man mano si trasformeranno nel dramma realizzato quasi completamente a Casamicciola, dico quasi perché nell’agosto della stessa estate l’autore, spaventato da una leggera scossa di terremoto e osservando la grossa lesione del campanile della chiesa parrocchiale, decise improvvisamente di partire per Sorrento, dove completerà appunto il poema. II Peer Gynt risente naturalmente delle suggestioni del luogo in cui è stato composto: l’Italia e Casamicciola. II protagonista è un marinaio in giro per il mondo in cerca delle più strane avventure, completamente libero, certo che al ritorno, quando vorrà tornare, troverà ad aspettarlo una donna fedele, Solveig. Comportamenti e volti femminili della nostra terra hanno dovuto colpire la fantasia  e l’ispirazione del grande norvegese: l’amore totale di  Solveig senza nulla chiedere, pronta a donare perdonare, forse non lo si trova in nessun altro personaggio nel mondo ibseniano.

LE AVVENTURE DI IBSEN DURANTE LE SUE GIORNATE A CASAMICCIOLA

             Lo scrittore, pur essendo un abitudinario con un ritmo della giornata ben preciso, non disdegnava di accompagnarsi al suo amico V. Bergsoe, danese, venuto anche lui nello stesso periodo nella nostra terra, che al tempo ospitava una numerosa colonia di scandinavi. Con l’amico danese si portava tutti i pomeriggi fino a Baiola, qui i due amici si fermavano ammirando il panorama quanto mai vario e attraente, in attesa del tramonto del sole, splendido fino all’ultimo raggio. Di tanto in tanto Bergsoe proponeva all’illustre ospite norvegese delle escursioni che per lui potevano essere interessanti ma che, come vedremo, metteranno a dura prova il carattere poco coraggioso di Ibsen. Bergsoe, nelle sue memorie, ne ricorda più di una che possono definirsi delle vere e proprie avventure spesso tragicomiche.

L’ESPLORAZIONE ALLA VALLE DEL TAMBURO

(zona di Casamicciola alle pendici dell’Epomeo)

            Tale località, ora non più accessibile per le frane susseguitesi nel tempo, oltre un secolo fa si presentava ancora nella sua natura suggestiva e selvaggia nello stesso tempo. La zona si trova a metà costa verso l’Epomeo e prende il nome dal caratteristico rumore che fa l’acqua sorgiva e che ricorda il suono ritmico e grave di un tamburo; ma i nativi la chiamavano «la valle dei bu-bu». L’amico danese, quando racconta il fatto, ci presenta un Ibsen completamente suggestionato dalla paura. Infatti la natura del luogo, che oltre un secolo fa appariva ancora incontaminata e non del tutto rovinata dalle frane successive, all’inizio si mostrava in tutta la sua bellezza idilliaca, ma poi improvvisamente passa all’orrido, cambiando completamente il suo aspetto: i fianchi della montagna si avvicinano sempre di più fra loro, tanto che i due amici, che si trovano ormai nel crepaccio, per proseguire devono passare sulle pietre che si trovano nell’acqua calda. Ibsen, di fronte all’aspetto minaccioso del luogo, si spaventa a tal punto da rifiutarsi di proseguire, dicendo che la natura poteva restringersi ancora e rinchiuderli in se e di fronte all’argomentazione dell’amico che ciò era impossibile sul piano razionale, l’autore del Peer Gynt risponde che poteva sempre cadere un masso dall’alto e quindi morire schiacciati. Ibsen non vuole sapere ragioni, torna indietro nel modo più celere possibile e rientrato a casa, per quella sera  rinuncerà addirittura alla compagnia dell’amico.

Un Henrik Ibsen inedito

            II genio norvegese nei suoi drammi, che condensano ed esprimono le angosce e le contraddizioni dell’uomo moderno, evidenzia che egli crede comunque nei grandi ideali e di ciò dà un esempio sublime nel dramma Brand, ispirato all’atmosfera ricca di arte e di infinito che è la cupola e la basilica di San Pietro in Roma. Inoltre egli, in nome dell’ideale, preferisce andare in volontario esilio, come già ho detto precedentemente, per protestare in questo modo contro il cinismo del governo norvegese che rimane del tutto indifferente di fronte all’aggressione dei tre ducati danesi da parte della Prussia. Ed é questo il motivo per cui lui, quasi povero, viene in Italia e somiglia, così, proprio al protagonista del dramma dal titolo appunto Brand. Invece, nelle pagine del suo amico che descrivono il soggiorno del grande norvegese a Casamicciola, noi scopriamo un Ibsen umano con le sue paure, la sua ironia, la sua falsa sicurezza di sé; scopriamo che egli è un testardo e che diventa completamente preda del panico di fronte ad un pericolo, vero o immaginario che sia. E l’ultima parte dell’articolo precedente ne da già un saggio, a proposito dell’avventura nella Valle del Tamburo.

L’ESCURSIONE A PUNTA IMPERATORE

            Questa si rivela molto più drammatica rispetto alla precedente: Bergsoe convince Ibsen a seguirlo fino agli impervi sentieri che portano alla sommità di Punta Imperatore. Infatti, quel giorno essi rinunciano alla consueta passeggiata per affrontare l’ascesa al promontorio.
            Naturalmente è lo scrittore danese che convince Ibsen a seguirlo, perché era desideroso di ammirare il mare in tempesta (era una grossa sciroccata) che si scagliava contro le rocce della montagna. Cosi i due si arrampicano per gli aspri sentieri del promontorio e Ibsen, man mano che saliva, si metteva in agitazione, e più andava avanti, più la sua paura si trasformava in panico, fino a quando egli si rifiutò di seguire l’amico, il quale si era spinto più avanti per ammirare i marosi che si infrangevano contro gli scogli. II fragore del mare ed il forte vento di scirocco impedivano a Bergsoe di sentire le grida di Ibsen, il quale si era fermato, incapace di muoversi. Infatti quando Bergsoe, accorgendosi finalmente che l’amico era rimasto indietro, ritorna sui suoi passi, lo trova piegato su se stesso e abbracciato ad una roccia sporgente. Naturalmente il creatore del dramma moderno, appena vede l’amico, si mette a gridare quasi impazzito, rinfacciandogli che lo vuole ammazzare. Dopo tale esperienza, le loro escursioni, si limitarono alla passeggiata quotidiana che dalla Sentinella, passando per il Maio, portava fino a Baiola.

LA VISITA ALLA VILLA BELLEVUE SI TRASFORMA IN AVVENTURA TRAGICOMICA

            Una sera, dopo cena, Bergsoe propone al nostro di fare una puntata in quella parte della collina della Sentinella che sovrasta quasi Lacco, per visitare Villa Bellevue, famosa per aver ospitato Giuseppe Garibaldi, venuto a Casamicciola per curarsi la ferita riportata ad Aspromonte nel 1861. La villa, infatti, era meta di veri e propri pellegrinaggi da parte degli ospiti illustri che al tempo giungevano a Casamicciola per le cure termali. Ed era naturale che Bergsoe fosse spinto dalla curiosità legittima di visitarla. Tutto era andato per il meglio per i nostri due amici, quando sulla strada di ritorno, il sentiero che attraversava aranceti e frutteti ubertosi, si para loro davanti un grosso cane, fermo nei pressi di una Villa Ibsen, che aveva quasi una fobìa per i cani, non sapeva che cosa fare, si fermò lì a poca distanza paralizzato dalla paura e rifiutandosi naturalmente di proseguire. Ma Bergsoe, con garbo, gli fece notare che se non passava, non sarebbero tornati a casa, essendo quello l’unico sentiero che andava verso giù. Ibsen si convinse e incominciò a camminare, ma quando fu vicino al grosso esemplare canino, fece uno scatto quasi involontario (ma il cane non lo sapeva) che insospettì il cane, il quale si avventò su di lui addentandogli una mano. L’amico danese con un colpo di bastone mise in fuga la bestia, ma Ibsen era come fuori di sè, temendo addirittura di essere stato contagiato dalla rabbia.

L’AVVENTURA TRA I SENTIERI DELL’EPOMEO

            Vilhelm Bergsoe desiderava tantissimo fare l’escursione che al tempo si configurava quasi un dovere per gli ospiti dell’isola, al Monte Epomeo. Infatti un registro al momento andato perduto e che si trovava fino a qualche tempo fa sull’eremo, ne era una testimonianza: non c’era uno straniero, un forestiero che prima di lasciare il felice soggiorno nella nostra affascinante e selvaggia Ischia per tornare al proprio Paese, non sentisse il dovere di arrampicarsi per gli impervi sentieri dell’Epomeo, raggiungerne la vetta e godere da lassù il panorama unico del golfo e anche oltre. A proposito del registro da me  menzionato, sono sicura che esso, come quello una volta esistente presso Villa Sauve, è un tassello importante  per la storia e cronaca dell’isola dei secoli scorsi, e sarebbe auspicabile che tale bella testimonianza fosse conosciuta da tutta la comunità e da quanti amano il bello e Ischia.    Tornando ad             Ibsen, è certo che se fosse stato per lui, egli non sarebbe mai andato all’Epomeo, data la sua avversione per i luoghi montani e poco accessibili. Allora, il suo amico ricorse quasi a uno stratagemma, cancellando la paura con la curiosità; infatti promise al suo grande amico che avrebbe letto là sulla vetta la critica non proprio lusinghiera che il signor Petersen aveva fatto al romanzo di Bergsoe intitolato Piazza del popolo. Così Ibsen accetta e in una mattinata estiva, quasi all’alba, i due iniziano la scalata al monte, digiuni data l’ora. Dopo poco, il sole fa sentire il caldo ai due ospiti nordici. Naturalmente Ibsen incomincia a lamentarsi per il caldo e per la fame. Salendo un altro poco, giungono alla dimora alpestre di un contadino situata in un vigneto lungo le pendici del monte. II contadino li accoglie con grande cordialità e offre loro una frittata e del buon vino dell’Epomeo. Sia Bergsoe che Ibsen gradiscono moltissimo quest’ultimo e ne bevono un bel po’. L’ospite norvegese apprezza il nostro vino quanto la birra del suo Paese e forse lo preferisce ad essa perché più gradevole. E’ divertente quanto narra Bergsoe a proposito di Ibsen. Questi beve alla salute ogni volta che l’amico leggeva una parte della critica negativa ed Ibsen lo interrompeva vuotando un altro bicchiere e dicendo Prosit, Jakob (questo era il nomignolo confidenziale che egli aveva dato all’amico danese).
            Riprendono la scalata dopo aver vuotato un’altra bottiglia di vino, ma non hanno fatto che pochi metri quando sentono il terreno sussultare sotto i loro piedi e i due, allora, decidono di tornare indietro. Ibsen, spinto dal panico e dal desiderio di allontanarsi al più presto dal luogo, andava avanti correndo e purtroppo scambia un dirupo per una scorciatoia; Bergsoe, che conosce meglio la zona, cerca di fermare l’amico, il quale naturalmente non ubbidisce, anzi si sottrae alla presa dell’amico. Forse il movimento brusco della persona fece franare il terreno sotto i loro piedi e i due malcapitati furono trascinati verso il basso. Ambedue precipitavano sempre più velocemente, come se volassero dentro una fitta nebbia (cosi ricorda Bergsoe). Finalmente il loro rotolare fu fermato da qualcosa di duro e si trovarono sul sentiero della montagna, mentre le pietre e il terreno continuavano a precipitare da tutte le parti. I due amici sono miracolosamente illesi e Bergsoe aiuta l’amico a rialzarsi, e tutti e due comprendono che erano sfuggiti alla morte. Ibsen, quando furono vicini alla piazza del Maio, cercò di dare una sistemata alla sua persona, poi, forse per allentare la tensione di cui era ancora vittima, fece qualcosa di imprevedibile, quasi di fanciullesco, avvolse il giornale che riportava la critica sull’opera dell’amico e trasformandolo quasi in un megafono, incomincio a soffiare dentro come se fosse una trombetta, attraversando in questo modo la piazza e incurante dello stupore dei presenti. Dobbiamo ringraziare V. Bergsoe che, come è detto ci ha dato un ritratto inedito del grande genio norvegese rivelandoci l’umanità più nascosta di questi che mai avremmo potuto conoscere  leggendo soltanto i suoi capolavori.

“Ischia est un petit paradise terrestre” (E. Renan)

L’inquieto Ernest Renan a Casamicciola

Il paesaggio straordinario, la cordialità degli abitanti e l’efficacia delle acque termali sulla sua salute, riconciliano con la vita il grande scrittore

            Qui, nella luminosa e ridente cittadina isolana, le contraddizioni interiori sembrano acquietarsi nel cuore del celebre autore della Vita di Gesù, ed egli ritrova la temperie interiore necessaria per dedicarsi all’arte dello scrivere, per fermare sui fogli pensieri e ricordi del suo soggiorno in Italia e ad Ischia.

            L’ultimo grande ospite della nostra isola, nella seconda metà del secolo XIX sceglie Casamicciola come soggiorno ideale perché, come tanti altri stranieri, ne conosceva già per fama l’efficacia della cura delle acque termali e la salubrità e mitezza del clima; vi soggiornerà per tre periodi e, sempre alla fine dell’estate: il 1875, il 1877 e il 1879, e, la sua vacanza durava in media circa tre o quattro settimane.

              Quando nel 1875 Renan giunge a Napoli proveniente da Palermo, dove aveva partecipato ad un congresso di studio, entrando nel golfo, colpito dalla sua bellezza unica, lo definisce; «Cette baie incomparable est bien le temple de Venus antique» (questa baia incomparabile , è a buon diritto il tempio della  Venere antica).

            Lo scrittore francese rimane incantato dalla silhouette fumante del Vesuvio, ma è la nostra isola ad affascinarlo, proprio come erano rimasti affascinati i due illustri predecessori, Lamartine ed Ibsen. Egli dirà, infatti, che mentre il piroscafo lo portava a Napoli, nello scorgere da lontano Ischia, la mèta ultima del suo viaggio, provava gli stessi sentimenti di Ulisse quando finalmente scorse da lontano Itaca, la patria che mai si era stancato di cercare; e tale era l’ansia di giungere nella nostra terra, che arrivato nel porto di Napoli, dal battello su cui aveva viaggiato, trasbordò direttamente sul piccolo piroscafo che da Napoli, via Procida, giungeva ad Ischia. II percorso si rivela incantevole e le tre ore di viaggio trascorse ammirando la riviera di Chiaia, Mergellina, la ridente collina di Posillipo e poi la costa dei Campi Flegrei, allo scrittore sembra che siano passate in un attimo ed egli invece avrebbe voluto che fossero state eterne. Naturalmente il battello porta Renan direttamente a Casamicciola ed egli dal primo momento si sente veramente felice e vuol godere ogni attimo del suo soggiorno nella casa sulla collina, in mezzo ai vigneti, ammirando e scoprendo il paesaggio tutto intorno, immergendosi quasi in un cielo luminoso e limpidissimo. Qui, oltre a trovare una quiete perfetta, una solitudine assoluta, come egli stesso dirà, scopre l’amicizia nella persona dell’artista Ernest Herbert che da alcuni anni si reca a Casamicciola per cercare la salute e l’ispirazione per le sue opere pittoriche. Renan si reputa un fortunato per aver incontrato una persona che si rivela una piacevole compagnia fatta di affinità e di interessi culturali comuni con Herbert la famiglia Renan (lo scrittore, la moglie e i due figli Ary e Noemi) trascorre delle ore piacevolissime, spostandosi da una parte all’altra dell’isola a dorso di mulo o in carrozzella. «E’ sublime», dirà lo scrittore affacciandosi al belvedere di Barano, ammirando il mare lontano e la vallata sottostante, che in seguito, in suo onore, si chiamerà la valle di Renan. II grande scrittore e filosofo francese è letteralmente affascinato, come tanti altri nostri ospiti, dal paesaggio, sempre diverso e imprevisto, che offre la parte montuosa dell’isola. Anche lui è impressionato dalle costruzioni poderose realizzate senza alcun piano e che gli ricordano le abitazioni del vicino Oriente. Attento osservatore, non può non interessarsi al modo di vivere degli abitanti del luogo, i cui costumi sono quelli di tanti secoli prima. Egli viene piacevolmente colpito dai canti allegri dei contadini durante la vendemmia, diffusi allora in tutta l’isola e che aiutavano i lavoratori a non sentire molto la stanchezza e la fatica. E non può non sentirsi commosso di fronte alla schietta e semplice religiosità popolare della nostra gente e in particolare egli ricorda nei suoi scritti i canti che le donne che raccolte sulla soglia della propria abitazione o nelle chiese, al tramonto nei giorni precedenti alla festività dell’Assunta, elevavano al cielo in onore della Vergine: era una specie di Rosario cantato, naturalmente nel più puro dialetto e nella più pura ortodossia. Tale Rosario, in qualche rione popolare di Casamicciola le donne anziane, radunandosi nei vicoli come allora, davanti alle proprie case e con un’immagine della Vergine Assunta poggiata sul davanzale della finestra, innalzano tuttora il canto a Maria ripetendo le stesse strofe di un tempo, anche se non ne capiscono spesso il significato. Nella quiete di Casamicciola l’illustre ospite scrive I Ricordi, considerati da qualche studioso come il suo capolavoro; in essi si avverte il rimpianto di aver interrotto il cammino del sacerdozio; egli si sente un prete mancato con tutto il conflitto interiore che possiamo immaginare. Egli sente che Dio non ha allietato la sua giovinezza perché egli si e fermato all’introivo ad altare Dei, cioè si e fermato davanti all’altare del Signore senza proseguire. L’uomo Renan è confuso, perché le certezze della sua giovinezza sul piano del rapporto con Dio sono venute meno, ma egli griderà « lo ti amo ancora Dio» ed è bello immaginare che Ernest Renan abbia mitigata la sua angoscia esistenziale perdendosi nell’ammirazione del nostro paese, innamorato della nostra architettura, con le terrazze che emergono dal verde dominante della campagna e sovrapposte le une alle altre, colpito dai sentieri agresti e solitari che sembrano portare ad un mondo quasi magico, quello della natura mediterranea. Lo scrittore non si stancherà di parlare della gioia di vivere che egli ha scoperto nell’agreste Casamicciola, del respiro e dei profumi che gli offriva la campagna intorno. Lo ripeterà ancora in un articolo apparso in Paris-Ischia e ricordando la calma assoluta e la simpatia del popolo mite e sorridente, egli affermerà di aver trascorso nella nostra Casamicciola il periodo più felice della sua vita.

NOTE BIOGRAFIGHE

             Ernesto Renan (1823 Treguier - 1892 Parigi) scrittore, filosofo, storico francese, accademico di Francia. Destinato al sacerdozio, entrò in seminario e studiò la filosofia e le lingue semitiche, ma rinunciò agli ordini sacri in seguito ad una crisi spirituale e si diede agli studi di filosofia e a ricerche sul Cristianesimo. Oltre che per la sua opera filologico-esegetica nel campo del Vecchio Testamento, il Renan è soprattutto noto per la sua interpretazione ispirata al positivismo imperante ai suoi tempi circa le origini del Cristianesimo (Storia delle origini cristiane in 8 voll,; Vita di Gesù, L’Anticristo ed altre). Ricordiamo lo scrittore anche per i suoi drammi filosofici (Cariban, 1878; L’acqua di giovinezza ed altri). Forse il suo capolavoro sono I Ricordi dell’infanzia e della giovinezza e nei quali ripercorre l’evoluzione della sua vita interiore; in quest’ultima opera la memoria del passato si trasforma in poesia. Renan, come artista, è un raffinato dallo stile limpido e purissimo.
Fonti:
 Ghost auf Ischia di Paolo Buchner;
 Ibsen e Renan a Roma, Napoli, Ischia di Pasquale Polito.

La presenza nei secoli scorsi di tanti illustri stranieri nella nostra terra è stato motivo di orgoglio e di fama per Ischia
Ischia, oggetto di amore, di canto e di studio degli ospiti del passato
            La presenza nei secoli scorsi di tanti illustri ospiti stranieri nella nostra terra e stato motivo di orgoglio e di fama per Ischia, dove il sole risplende 365 giorni su 365: solarità che li coinvolse nelle loro fibre più intime, donando ad essi un gratificante benessere fisico e interiore. Ma cosa forse più importante è il fatto che, grazie a questi amici disinteressati della nostra isola, noi possiamo avere la testimonianza di ciò che questa era un tempo: negli scritti e nelle tele leggiamo e ammiriamo il paesaggio che li stregò con la sua bellezza straordinaria, le caratteristiche degli abitati andate completamente distrutte, le usanze e i costumi conservatisi inalterati nei secoli; la bellezza delle donne gentili e leggiadre, anche se analfabete, che hanno ispirato amori regali o sono entrate nella storia grazie ai loro ritratti effettuati da famosi artisti, come Angelica Kaufmann, pittrice di origine svizzera, oltre che narratrice delle tradizioni nostre e operante al tempo alla corte dei Borboni di Napoli. La natura dei luoghi, ora ridente, ora selvaggia e impervia, ha trovato anch’essa i suoi cultori, i suoi studiosi, venuti da lontano dal pallido sole del Nord, i quali manifestarono anche interesse e curiosità scientifica per la flora che in alcuni casi si rivelò ai loro occhi straordinaria e unica per le sue caratteristiche. Alcune specie del regno vegetale, infatti, non sarebbero potute esistere alle nostre latitudini, se non grazie alla presenza dei fenomeni vulcanici secondari, come le fumarole (le fumarole, sono emanazione di gas e vapori che si sprigiona ad altissima temperatura dalle lave fuse e superficialmente solidificate; è il caso delle fumarole di Ischia). Siamo ormai nella seconda metà del secolo XIX ed ecco la presenza a Casamicciola di ospiti stranieri, cultori appunto di scienze naturali.

CHRISTIAN GOTTFRIED EHREN

            II primo di essi e Christian Gottfried Ehrenberg, professore di scienze naturali all’università di Berlino; egli partì per Ischia nel 1858 e soggiornò a Casamicciola abitando all’albergo Piccola Sentinella. La predilezione per il paese termale per eccellenza era dovuta forse non solo alla fama di cui godeva presso gli stranieri, ma anche perché la natura dei luoghi meglio si prestava per gli studi di questi ricercatori. Tutta l’isola fu oggetto di ricerche e di studio da parte di Ehrenberg, il quale si interessò dei microesseri viventi animali (portava sempre con sé il microscopio), nonché degli esseri viventi vegetali che si trovano presso le sorgenti termali. Del suo studio sulla natura della nostra isola parlò in una conferenza tenuta all’Accademia di Prussia, nella quale descrisse le gole e i precipizi che si trovano al di sopra di Piazza Bagni, alle pendici dell’Epomeo, ricordò l’acqua minerale che scorre e gocciola ad un’alta temperatura sulle pareti della Valle del Tamburo e nelle gole limitrofe. Oggetto del suo studio fu anche la natura della massa argillosa nella quale si trasforma la roccia che si sgretola alla presenza dell’acqua. Lo scienziato trova tanto interesse per questo fenomeno che continuerà a studiare la natura di questa massa argillosa, portandone una parte con sè a casa. C’è da pensare che grande doveva essere la sua passione per tali ricerche, per un mondo vivente che sfugge alla maggior parte di noi, perché egli, pur essendo avanzato negli anni e ormai affermato professore universitario, non disdegnava di arrampicarsi lungo le gole e i canaloni esistenti alle falde del nostro Epomeo, giungendo nei luoghi meno accessibili delle nostre sorgenti.

ERNST HAKEL E HERMANN ALLMERS

L’anno successivo giunsero a Casamicciola altri due ospiti di origine germanica: il primo, Ernst Hakel, era un giovane biologo di 25 anni e l’oggetto delle sue ricerche era la fauna marina. Dopo un breve periodo trascorso a Napoli per dedicarsi ai suoi studi, egli preferisce andar via a causa dei rumori, della sporcizia e del caldo. Così, agli inizi di giugno, egli parte per Ischia, per poter vivere, come egli stesso scrive ai suoi familiari, nella solitudine e nel silenzio, solo con i suoi studi. La fortuna del giovane ricercatore fu che nel giorno della partenza, egli fa la conoscenza di un altro connazionale, pure in procinto di partire per Ischia, Hermann Allmers, poeta e proprietario terriero, che ricorderà con una poesia il viaggio notturno ad Ischia viaggio oltremodo avventuroso per i due, perché la barca, partita alle nove di sera, fu ostacolata nella sua navigazione da un forte vento contrario e poté giungere a Casamicciola solo alle nove del mattino successivo. Ma tutto questo non tolse l’entusiasmo e il buonumore ai due amici, i quali qualche giorno prima non si conoscevano ancora, e che quindi trascorsero il tempo del viaggio raccontando la propria vita e parlando dei progetti futuri. A Casamicciola alloggiarono presso la Pensione Patalano, molto ospitale, situata nella parte alta del paese, da dove si godeva un’ottima vista. I due amici trascorsero una settimana sull’isola e organizzarono così bene il loro tempo che non trascurarono la conoscenza di nessun luogo considerato interessante e di cui forse avevano già sentito parlare dai loro connazionali; cosi scoprono la costa settentrionale dell’isola, che a loro appariva la parte più bella, poi, come tanti altri ospiti, compiono l’escursione all’Epomeo, faticosa e non facile da Casamicciola. Quindi una puntata a Forio, che per il suo paesaggio isolato e rigoglioso, le abitazioni dai particolari architettonici orientaleggianti, ricorda ai due amici la terra d’Africa. I due studiosi, come molti che li avevano preceduti, visitano i luoghi più selvaggi e ricchi di una bellezza unica, come la cava di Sinigallia e della Tresta, dove scoprono una vera e propria vegetazione subtropicale, fonti di acque minerali e, percorrendo il sentiero del Monte Tabor (località Perrone), luogo anch’esso ricco di sorgenti termali, giunsero alla punta estrema settentrionale, cioè al comune d’Ischia.

  Negli scritti e nei comportamenti di tanti stranieri si nota una perfetta simbiosi con la realtà della nostra isola

Oh, come hanno amato la nostra terra gli ospiti stranieri del passato

            Nella puntata precedente, abbiamo conosciuto due studiosi provenienti dalla Germania,, Ernst Haechel e Hermann Allmers, i quali con amore e interesse scientifico, hanno percorso in lungo e in largo la nostra isola, avendo naturalmente come luogo di soggiorno Casamicciola, dandoci specialmente  Haechel, una descrizione fedele della natura dei luoghi e in particolare della flora isolana. Essi sono colpiti dalla bellezza della capelvenere, dalla rigogliosità delle felci. II  giovane biologo, tra l’altro, cosi descrive la bellissima natura che lo circonda: «Anche la delicata capelvenere, la più gentile delle felci, qui abbonda in maniera lussureggiante. In mezzo pendono sfarzose campanule blu,  capperi e more che vegetano in abbondanza su queste rupi, mentre aromatiche labiate riempiono l’aria di intensi profumi».  E’ una descrizione perfetta, pittorica e ci ricorda appunto come Haechel fosse anche pittore. I due studiosi, risalendo al Monte Tabor, incontrarono gli stessi fenomeni di natura vulcanica e la stessa flora ammirata nei valloni a ridosso di Piazza Bagni; essi caddero in una tale estasi che si abbracciarono e si scambiarono un bacio fraterno, festeggiando l’avvenimento con l’acqua della borraccia. I due amici, e in particolare Haechel, amavano fissare sulla carta o sulla tela scorci del paesaggio isolano; infatti nel museo di Haechel a Jena esistono tre acquerelli che rappresentano paesaggi isolani. Sul primo è dipinta la roccia scoscesa della cima dell’Epomeo con vista su Procida e terraferma; il secondo rappresenta il Monte Vico con sullo sfondo il Capitello dalla roccia di vari colori e il Fungo; il terzo, invece, ci dà una chiave alquanto fantastica, uno scorcio del paesaggio foriano visto dal molo, con le case, le chiese e le torri che avevano colpita gradevolmente il gusto estetico del biologo pittore germanico. Una volta tornati a Napoli, giunse ai due la notizia della mobilitazione voluta dal re di Prussia; tale notizia fu per Haechel motivo di grande preoccupazione, data la giovane età, per una eventuale chiamata alle armi; tutto ciò affievolì notevolmente l’entusiasmo per la ricerca e si può dire quasi la gioia di vivere, cosicché egli trascorse tale periodo riordinando e scrivendo i ricordi di Ischia, sistemando la sua raccolta di esemplari della flora isolana, i suoi tesori, come li definisce, e completando gli acquerelli già abbozzati durante il suo soggiorno nella nostra isola. Quando il pericolo di una chiamata alle armi si dileguò, Haechel e il suo amico Allmers ripresero i loro piccoli tour nei dintorni di Napoli: Pompei, la Penisola Sorrentina, il Vesuvio furono le mete nelle loro gite non solo per diletto, ma anche per interesse scientifico. E’ inutile dire che gli interessi comuni e un affiatamento esemplare rafforzarono l’amicizia fra i due, i quali però non tornarono ad Ischia, cioè Casamicciola, perché già al tempo, nella stagione estiva, era molto affollata. Allora essi preferiscono Capri, che per Haechel e un paradiso, «così pura e innocente, così semplice e naturale». Addirittura, la gente di Capri appare al nostro come un popolo primitivo. Tutto questo secondo Haechel è dovuto alla stessa natura dell’isola, dalle coste alte e scoscese, che si allunga tutta sulla parte montuosa e quindi priva di una benché minima pianura. Forse tutto questo e la mancanza di acqua minerale per le cure, non invoglia i forestieri a frequentare l’isola. Però quando Haechel dovrà esprimere un giudizio sulle due isole, pur riconoscendo a Capri la superiorità, espresse il suo entusiasmo incondizionato per Ischia.

 WOLDMAR KADEN

            Come si è visto, gli stranieri nei secoli scorsi consideravano Napoli e dintorni quasi una tappa obbligata dai loro tour verso il favoloso Sud. Tra questi troviamo il tedesco Woldmar Kaden. Questi, nato a Dresda nel 1838, è uno degli ultimi ospiti di Casamicciola prima della catastrofe dell’83. Kaden soggiornerà anche lui a Casamicciola, attratto dalla bellezza dei luoghi; egli sceglie come tanti il nostro Sud come Paese ideale e Napoli come sua seconda patria, ma lascerà una parte di sé stesso nella selvaggia e ridente Casamicciola, nella modesta abitazione della giovane Rosina, della quale quasi certamente si e innamorato.
             A Napoli Kaden imsegna lingua e letteratura tedesca in un liceo ed è contemporaneamente direttore della Scuola di lingua tedesca della città. Conduce tra l’altro degli studi approfonditi sul Meridione d’Italia e gli usi e i costumi di questo e nei suoi scritti in merito inserisce ben 68 pagine sull’estate trascorsa nel 1875 ad Ischia (Casamicciola). In queste pagine si può cogliere una grande nostalgia che fa soffrire il nostro quando ricorda i giorni luminosi e, di piena felicità trascorsi nella cittadina termale nella modesta abitazione di un contadino, situata quasi alle pendici dell’Epomeo. La sua sensibilità e desiderio di conoscere il carattere e i costumi di coloro che abitano il paese che lo ospita, lo fanno avvicinare con rispetto alla gente semplice del luogo, che cerca di comprendere in quelli che possono apparire comportamenti e manifestazioni quasi banali. Non si meraviglia quando appena arrivato, i suoi ospiti, spinti da una curiosità fanciullesca, scaricano alla rinfusa il contenuto della sua valigia; per loro, è un fatto normale, come normale appariva l’interessarsi alla persona dell’ospite, alla sua famiglia e al suo Paese, e questo senza alcuna ombra di invadenza, ma in maniera semplice, come se fosse un fatto naturale. Anzi, quando Kaden riesce a conquistare la loro fiducia, diventa il confidente delle tre figliuole del proprietario, che candidamente gli parlano di se stesso confessando tra l’altro di essere analfabete e di non  conoscere nessun altro luogo dell’isola all’infuori di Casamicciola. Col passare del tempo, lo studioso si considera ed è considerato non più un ospite, ma un familiare della casa, anche se di riguardo. La più giovane delle sorelle, di nome Rosina, vuole imparare a leggere e a scrivere da lui ed egli al mercato nella piazza del paese compera un abecedario e anche un libro di musica, forse col segreto desiderio di insegnare alla ragazza, anche la musica, lui che era bravissimo al pianoforte, tanto da destare grande interesse tra le signore bene, dalle quali fugge preferendo il rustico e genuino ambiente della giovane Rosina. Kaden, per poter insegnare a leggere e a scrivere a questa bella e semplice fanciulla di Casamicciola, si rifugia con lei nella parte più nascosta del vigneto che è vicino alla casa, per sottrarsi alle ire del genitore, il quale soleva dire che l’istruzione era solo per i preti ed i notai. Forse complice l’insegnamento, nascerà un gentile sentimento di amore fra i due, e Rosina, grata e innamorata, ogni giorno donerà al suo maestro rose fresche ed uva dolcissima; anzi, ella sapendo che Kaden adorava i suoi capelli, un giorno gli fa trovare, dono gradito, nel cestino una ciocca dei suoi bellissimi capelli neri. Nelle pagine del nostro amico si legge inoltre un aneddoto che può sembrare non importante, ma che egli, da finissimo studioso e psicologo, cita per farci conoscere, l’ingenuità della gente, la semplicità dei sentimenti e il modo altrettanto ingenuo di approfittare di questi. Egli racconta che a Casamicciola  c’era un maestro, una specie di segretario galante ante litteram, il quale disegnava dei cuori con su il nome scritto dei due innamorati, messaggio abbastanza eloquente che il giovane inviava alla fanciulla del suo cuore: la ricompensa per il maestro era un pollo. Kaden viene a conoscenza di tutto ciò quando Silvestro, fratello di Rosina, gli mostra il cuore che gli aveva disegnato il nostro maestro e sul quale erano scritti i nomi di Silvestro e di Maddalena, la ragazza amata; il tedesco, quando vede il disegno, dice che non sembra un cuore, ma un fegato. Sarà lui a disegnare un bellissimo cuore dove escono fiamme di amore e nel quale egli scrive in bella grafia i nomi di Silvestro e di Maddalena. Il giovane manda subito la serva con il messaggio amoroso a Maddalena, che abita a Monte Cito, e Kaden, da attento osservatore, ricorda che il sentiero che si inerpica sulla montagna attraversava l’impervio luogo delle Fumarole, dalle quali provenivano non solo vapori ma anche zolfo. Dobbiamo essere grati a questo studioso d’oltralpe che ci ha regalato una piccola tessera di quel variegato, ora drammatico, ora idilliaco, ora ridente, mosaico del nostro passato. A quel tempo i giovani erano ignoranti, ma sapevano provare un amore vero, un sentimento profondo e duraturo, gentile e forte nello stesso tempo. E come è bello pensare che essi non si vergognavano di affidare il messaggio del loro amore ad un disegno così ingenuo ed allo stesso tempo così eloquente. La vita che conduce a Casamicciola rende veramente felice il nostro, che nel suo diario afferma di sentirsi come a casa sua e di conoscere i luoghi e la gente del posto come da secoli, anzi egli vorrebbe dimenticare di saper leggere per non conoscere notizie che ormai a lui sembrano provenire da uno strano e remoto mondo. Tra l’altro, egli ama trascorrere parte del suo tempo ascoltando cantare le ragazze, prediligendo soprattutto quelle canzoni che parlavano di mare, di pescatori e di amore. Woldmar Kaden, quando dovrà lasciare Ischia, confesserà che ciò gli è stato estremamente doloroso, perché è certo che quella felicita che faceva pensare all’aurora del mondo non la proverà più nella sua vita.

Anche al prof. Buchner l’isola, con la sua bellezza incontaminata e irripetibile,

col suo passato misterioso e tutto da scoprire, dovette apparire “il mito”

 Paolo Buchner e l’isola d’Ischia

             Paolo Buchner si può considerare simile a quegli ospiti stranieri illustri che soggiornarono ad Ischia dal 1550 fino alla seconda metà del secolo scorso e di cui egli parla nell’opera scritta nel 1968 che ha come titolo Gast auf Ischia (Ospiti ad Ischia). Certamente una parte della sua anima del suo spirito, hanno avuto gli stessi sentimenti e motivazioni ideali che spinsero appunto nel passato tanti esponenti del mondo della cultura, dell’arte e della nobiltà europea a scegliere Ischia, che spesso si identificava con Casamicciola, quale soggiorno ideale per chi è alla ricerca del benessere interiore oltre che fisico. Anche per il prof. Paolo Buchner I’isola, con la sua bellezza incontaminata e irripetibile, col suo passato misterioso e tutto da scoprire, dovette apparire «il mito». Quando giungerà per la prima volta ad Ischia, certamente dovette far propri i versi che re Ludovico I di Baviera fece scrivere sotto I’affresco rappresentante uno scorcio di Lacco Ameno ed eseguito dal pittore di corte Carl Rottmann nelle arcate del palazzo reale di Monaco. I versi che dovettero piacere tanto al giovane Buchner sono stati riportati da lui nella pagina introduttiva al volume appunto Gast auf Ischia; essi per il senso non si allontanano troppo da quelli di altri ospiti famosi come Lamartine, Ibsen, Renan. Ospiti dagli interessi culturali diversi e presenti nel nostro Paese in tempi diversi, hanno avuto un denominatore comune che è I’amore per Ischia come isola e per Casamicciola in particolare. Per aver fatto questo «dono» ad Ischia e a noi isolani, parlandoci cioè degli stranieri che sono venuti nell’isola, provo una sincera e profonda gratitudine per lui, uno straniero venuto da lontano «sposandosi» con la nostra Terra; gratitudine estesa anche al prof. Giorgio, che nella scia del padre ha fatto anche Iui un dono a tutti noi, rivelandoci l’alba del nostro passato, lì sul colle tormentato del Castiglione tante volte osservato e interrogato dal nostro studioso seguito dal giovane figliuolo. I versi, che sono un sincero elogio di Ischia, quasi una dichiarazione d’amore da parte di Ludovico I di Baviera, suonano così: «Fuggi ad Ischia, lontano dal frastuono della vita / li troverai quella pace che hai perduto da tempo». lo direi ritroverai la felicita perduta e il re della Baviera dovette esserne tanto convinto da venire nella nostra isola per ben quattro volte dal 1805 al 1839.

BREVI NOTE BIOGRAFICHE

Paolo Buchner nasce a Norimberga, Baviera, il 12.4.1886 e muore ad Ischia il 19.10.1978. Suo padre, il medico naturalista Wilhelm Buchner, fu ben lieto di avviarlo agli studi di botanica, ma ben presto I’interesse precipuo del giovane Paul si rivela per la zoologia. Per questo motivo egli frequenterà l’università di Monaco che vanta maestri nella materia come il prof. R. Goldschmidt; qui si laurea con una tesi sugli eteronomosomi degli ortotteri con la presentazione dello stesso prof. Goldschmidt. Nel 1910, grazie a una borsa di studio, egli viene a Napoli per approfondire Ie sue ricerche presso la stazione zoologica della città, frequentata al tempo da molti studiosi gi biologia. II giovane studioso rimane nel capoluogo partenopeo per un anno e ha modo di fare qualche gita nella nostra isola, la quale eserciterà appunto su di lui subito una grande attrazione. A Napoli ha anche modo di conoscere Antonio Pierantoni docente dell’istituto di zoologia dell’università partenopea, che contemporaneamente ad un altro studioso di origine polacca ma in maniera indipendente, dà inizio con le sue intuizioni agli studi sulla endosimbiosi animale, nei quali il prof. Paolo Buchner diventerà un caposcuola. II viaggio in Italia sarà la causa involontaria per la quale conoscerà la sua futura moglie, la signora Miliana, giovane allieva di belle arti di Gorizia, allora ancora austriaca: ella è a Monaco per seguire le lezioni di nudo all’istituto d’arte della città, lezioni proibite altrove alle donne, II giovane studioso prenderà lezioni di italiano da lei sposandola nel 1913; l’anno successivo nascerà il loro unico figliuolo Giorgio, il futuro archeologo. La signora Miliana Buchner si rivela una delicata pittrice di paesaggi e ritratti, di lei si può ammirare un ritratto ad olio di mons. Onofrio Buonocore nella Biblioteca Antoniana, ma sarà anche una valida collaboratrice del marito quando ne avrà I’occasione. Paolo Buchner avrà una brillante carriera universitaria grazie alle sue opere di natura scientifica, alle quali oltre a dedicare la sua grande mente, dedica anche il suo cuore, perché egli vedeva in ogni creatura, sia un essere vivente microscopico che le mute pietre, un’anima che sa parlare alla mente e al cuore di chi le interroga. Sarà cattedratico in alcune università germaniche anche prestigiose, come quelle di Lipsia e di Monaco, ma Paolo Buchner, pur avendo davanti a sè un ottimo avvenire nella sua patria come uomo e studioso, forse in cuor suo ha già fatto la sua scelta, il solare e favoloso Sud, nel quale come gemma incastonata, si trova l’isola d’Ischia. Egli, infatti, quando poteva, si faceva rinnovare il permesso per recarsi a Napoli e, addirittura, dal 1922-23 tale permesso gli venne rinnovato ogni tre mesi ed ogni qualvolta giungeva nella capitale campana, non mancava mai di venire ad Ischia, sempre più attratto dal richiamo misterioso della nostra terra, tanto che nel 1927 acquista un terreno sulla collina di Sant’Alessandro, dove tutto riporta al passato; qui dal 1928 al 1930 farà costruire la sua casa in puro stile mediterraneo, ideata e progettata da lui e realizzata con il buon metodo antico. In questa casa egli dimorerà con la sua famiglia per periodi sempre più lunghi, tanto che nel 1938 fa l’impossibile per lasciare la Germania e tornare ad Ischia. Nella nostra isola si stabilirà definitivamente dal 1944, in seguito agli eventi bellici ed egli sarà ben felice di essersi trovato lontano dalla furia della barbarie, alla quale Ischia si sottrae quasi miracolosamente. Paolo Buchner, nella quiete della sua casa dell’antico borgo che diventa polo di attrazione per eminenti studiosi, studenti universitari e amici, tutti accolti con la sobria cordialità dei Buchner, continua i suoi studi prediletti di natura scientifica, dando alle stampe circa 112 opere tra articoli relazioni e volumi. Dal 1939 egli comincerà ad appassionare al passato e alla natura dell’isola d’lschia, intervallando le opere scientifiche da lui fino ad allora predilette con vari scritti riguardanti la nostra isola e trattando quasi sempre argomenti che non erano stati ancora oggetto di studio da parte di altri. Cosi nel 1939 pubblicherà Case di pietra ad Ischia, affascinato dalle antiche abitazioni scavate nei grossi blocchi di tufo staccatisi in tempi remoti dalla parte alta dell’Epomeo: antiche abitazioni, retaggio della nostra civiltà contadina e intorno alle quali sorgevano una volta opimi vigneti.
 

Importante protagonista della vita culturale e scientificasull’isola nel periodo dagli anni ’40 agli anni ’70

Il prof. Paolo Buchner e la nostra isola

             II prof. Paolo Buchner con le sue opere che hanno come oggetto di ricerca l’isola d’Ischia, può a buon diritto far parte di quel gruppo di scrittori di cose isolane, ischitani di nascita o di adozione, che nel corso dei secoli hanno dedicato i loro studi alla conoscenza sul piano scientifico e storico della verde Enaria.
             Egli, che aveva voluto inserire nei momenti di sosta dai  suoi dotti e impegnativi studi  scientifici e dalle importanti ricerche sperimentali, l’interesse per la storia, la geologia, l’archeologia dell’isola d’Ischia, come un momento di relax della mente, si rivela invece oltre che uno zoologo di fama internazionale, anche un approfondito e documentato conoscitore della nostra isola. Lo studioso, uomo di grandi capacità scientifiche e di vera cultura, volle dedicare appunto parte delle sue ricerche alla conoscenza dei vari aspetti di Ischia, diffondendo quanto andava scoprendo in molti scritti, tra conferenze e monografie; egli, dopo aver descritto quel fenomeno unico di architettura rupestre, le case di pietra, indaga sulla storia naturale della nostra terra e nel 1943 terrà una conferenza all’Università di Milano che ha come oggetto la formazione e lo sviluppo dell’isola d’Ischia. Quasi continuazione naturale dell’indagine precedente, l’opera dal titolo La geologia dell’Isola d’Ischia. Quindi il suo interesse va a quella che è la nostra principale risorsa economica, la straordinaria ricchezza di fonti di acqua minerale diffuse in tutta l’isola e scoperte, o riscoperte, da un altro ischitano di adozione nel secolo XVI: mi riferisco a Giulio lasolino, medico calabrese, napoletano di adozione e ischitano per vocazione, il quale è preso da un entusiasmo tale per questo bene naturale, che riesce a trasmetterlo anche al lettore che si avvicina al suo De remedi naturali..., pubblicato nel 1588.  II prof, Buchner, che realizzerà la monografia sull’illustre clinico e filosofo e sulla sua opera nel lontano 1958, dichiarerà nella introduzione al suo lavoro, che l’interesse per Giulio lasolino scaturisce dal ruolo che questi ha avuto nella storia del nostro termalismo, il fenomeno che desta grande attenzione nel nostro da fargli approfondire una realtà sociale che nessuno prima di lui aveva considerato, e cioè il termalismo sociale, espresso dalla struttura termale in Casamicciola Terme e voluta dal Pio Monte della Misericordia di Napoli.  Non sfugge infatti all’intelligente indagatore l’importanza di tutto questo, anche a livello europeo, e del bene che veniva diffuso tutt’intorno coinvolgendo soprattutto gli ultimi. E noi isolani sappiamo che fino ad alcuni decenni fa la struttura, che non aveva niente da invidiare ad un grande albergo per gli spazi e i marmi profusi, ospitava i poveri che venivano a curarsi i loro malanni e che venivano serviti anche da illustri volontari, mentre nei secoli passati si sono curati papi e grandi condottieri.  Paolo Buchner pubblicherà anche una Storia delle terme di Porto d’Ischia ben conoscendo l’importanza secolare delle due fonti Formiello e Fontana. Nel 1971, continuando sullo stesso argomento e alla soglia del suo doloroso e lungo tramonto, darà ancora un ulteriore contributo alla storia termale dell’isola, realizzando uno studio monografico su Jacques E. Chevalley de Rivaz, il medico franco-svizzero della corte borbonica che, conosciuta la nostra terra e soprattutto Casamicciola con la sua grande e varia ricchezza di acque minerali, preferirà rimanervi dando un forte impulso al nostro termalismo con un contributo personale che è all’avanguardia. E’ sottinteso che Paolo Buchner ha partecipato da protagonista alla vita culturale di Ischia, specialmente quando volontariamente rinuncerà alla cattedra della prestigiosa Università di Monaco, per rimanere nella sua tranquilla e accogliente dimora, circondata dai giardini dell’antico borgo medioevale; egli potrà così dedicarsi sia ai suoi studi scientifici di sempre, sia ai nuovi e forse più fascinosi sull’isola d’Ischia.  Nel 1944, insieme con mons. Buonocore e altri cinque intellettuali di grande levatura, sarà uno dei fondatori del Centro Studi sull’Isola d’Ischia, ricoprendo la carica di presidente fino al compimento degli 80 anni. Basta sfogliare le pagine del volume edito dal Centro Studi che comprende gli interventi che vanno, dal 1944 al ’70, per comprendere quale grande impulso ci fu per la nostra cultura; verrà inaugurato veramente un periodo felice, soprattutto per la cultura isolana, arricchita da molteplici pubblicazioni riguardanti molto spesso Ischia e lette da uomini veramente di prim’ordine nei vari incontri che si tenevano al tempo.  Quando lo studioso rinuncerà alla carica di presidente per aver compiuto 80 anni, non vuole che gli si rinnovi tale carica, ma accetterà volentieri quella di presidente onorario conferitagli all’unanimità da tutti i soci. E’ doveroso ricordare che il prof. Paolo Buchner, nel corso della sua carriera professionale, ottenne validi riconoscimenti da più parti per il suo contributo dato alla ricerca scientifica; gli saranno conferire tre lauree «honoris causa» (in medicina nel 1958; in scienze biologiche nel 1959; in scienze naturali nel 1960). Paolo Buchner era particolarmente felice e orgoglioso per la motivazione con la quale gli era stata conferita la laurea in scienze biologiche: una motivazione che e quasi il biglietto di presentazione della sua vita come studioso e che a me piace riportare: «Intendiamo con questo onorare in Paul Buchner il grande biologo fondatore della Simbiantologia, che professore sulle cattedre di Monaco e di Lipsia, curioso della natura nelI’isola d’Ischia, investigando con somma diligenza e con brillante genialità la trasmissione dei conviventi microbi dal corpo materno alle uova, portò a nuovi ammirevoli sviluppi lo studio spallanzaniano della generazione dei microorganismi - Pavia, 5 maggio 1959».   II comune d’Ischia, che già conferì al grande studioso la cittadinanza onoraria, potrebbe onorarne la memoria nel modo più semplice e congeniale per chi ha dato lustro e conoscenza ad una terra considerata da lui come una seconda patria, intitolando al nome di Paolo Buchner, come già aveva suggerito mons. Polito, un tratto della stradina che dal borgo di Sant’Alessandro porta sulla litoranea. II nostro stradario si arricchirebbe di una voce importante per la conoscenza della nostra storia.

 

Un grande studioso innamorato della nostra isola

Paolo Buchner, Gast auf Ischia

“Fuggi da Ischia lontano dal frastuono della vita.  Li troverai quella pace I che hai perduto. da tempo”. Sono i versi che Lodovico I di Baviera fece scrivere sull’affresco eseguito dal pittore di corte Carl Rottmann nelle arcate del giardino del Palazzo reale di Monaco e rappresentante uno scorcio di Lacco Ameno.
Paolo Buchner riporta questi versi nella prima pagina dell’introduzione all’opera che egli intitola appunto Gast auf Ischia, alla lettera Ospite ad lschia. E a proposito del trasporto che esprimono le espressioni estasiate di Lodovico di Baviera, egli afferma che la spiegazione di tale sentimento, si sottrae ad una oggettiva analisi che prende solo in considerazione la natura mediterranea, le spiagge bellissime, gli angoli pittoreschi e la possibilità di condurre una vita lontana dal frastuono delle grandi città. Certamente gioca un ruolo decisivo la consapevolezza di vivere su un’isola che la rara varietà del paesaggio fa apparire sempre nuova. Ma tutto questo può contribuire a comprendere tale trasporto, ma non del tutto. Bisogna aggiungervi ancora qualche altra cosa che non si può esprimere con parole e immagini ma che è soltanto da imparare. Gast auf lschia: forse il termine al singolare e stato scelto non a caso dall’autore perché si sentiva lui ospite ad Ischia, nelle stesse condizioni interiori degli ospiti stranieri che lo avevano preceduto, e questa sua opera effettivamente sarà un dono per la nostra isola e i suoi abitanti, come egli stesso ebbe a dichiarare. Nella quiete della bellissima villa con davanti orizzonti magnifici, in questa dimora fatta proprio per lo studio e per ascoltare l’ispirazione e le voci della nostra creatività, tale lavoro è stato pensato e maturato negli anni ’60 e  pubblicato nel 1968. L’opera si può considerare l’espressione più tangibile di quell’amore a prima vista che lo studiosa provò per questa terra ancora incontaminata. II prof. Buchner, quando il suo cuore e il suo spirito dovettero essere presi totalmente dalla solarità e dal silenzio fatto di verde e di azzurro, potè immedesimarsi del tutto nello stato d’animo degli ospiti del passato, folgorati anch’essi dalla solarità e dalla pace che dà gioia della nostra terra; e con gli stessi occhi dovette contemplare ed osservare il paesaggio e la natura della nostra isola. Con un lavoro certosino e di intelligente, appassionato ricercatore, egli riesce a ricostruire attraverso i personaggi che man mano ci presenterà situazioni, realtà, fatti, costumi che altrimenti sarebbero caduti nell’oblìo, dando in questo modo a noi isolani la gioia di trovarci come per incanto a tu per tu col passato dei nostri antenati. E tutto questo grazie alle memorie e alle lettere, come egli dirà nell’introduzione alI’opera, dei viaggiatori stranieri che si avvicendarono ad Ischia e soprattutto a Casamicciola, terra di elezione per la maggior parte di essi, non solo perchè grande e unico centro termale, non solo per le sue bellezze naturali, ma anche per il tratto dei suoi abitanti che sembrava avessero ereditato dai coloni calcidesi ed euboici il senso della civiltà e dell’ospitalità. Forse la novità più importante, l’originalità dell’opera, consiste nel tatto che noi conosciamo la storia nostra e il quotidiano dei nostri padri attraverso gli scritti e le opere pittoriche di stranieri. In quest’opera la sua erudizione diventa cultura, poesia; egli è un attento ed appassionato osservatore di particolari che fanno rivivere comportamenti di gente che, veniva da lontano di fronte a questo «epitome» del mondo, come affermerà il Berkley, ma anche quando si ritrovano davanti alla tragedia del terremoto dell’81. Fa bene apprendere come alcuni ospiti inglesi giunti a Casamicciola il giorno successivo al sisma, vengono colpiti dalla pace che natura e uomini sembrano offrire loro appena sbarcati dal battello sulla Marina; ma un doloroso stupore si impadronisce di loro quando man mano che salgono e si avvicinano al paese, incontrano rovine, morti e i vivi che sotto le macerie chiedono aiuto. I due stranieri, rendendosi conto di quello che è accaduto, ritornano a Napoli, dove informano sul tragico avvenimento, coinvolgendo in un’azione di solidarietà il console e la comunità inglese della città partenopea. E’ bello sapere che le nostre donne, pur essendo analfabete, sono belle e piene di grazia, tanto da conquistare principi e scrittori o ispirare gli artisti del pennello.

UNA GALLERIA IDEALE DI OSPITI

              Gast auf lschia è un omaggio inusitato all’Isola Verde; è una galleria ideale dove compaiono tanti personaggi, una lunga teoria di fantasmi che forse non sarebbero mai più ricomparsi sulla scena se non ci fosse stato il prof. Buchner a richiamarli alla ribalta. Incontriamo uomini di fama internazionale che abbiamo conosciuto nei nostri studi classici, come Johann Winckelmann, lo studioso di storia dell’arte venuto in Italia per conoscere le testimonianze archeologiche del mondo classico e che sarà il teorico dalla bellezza ideale, preludio del neoclassicismo, una forma di civiltà che investirà quasi tutta I’Europa. I suoi scritti sull’Italia incoraggeranno di più il turismo nella Penisola e nel tour allora di moda si inserisce anche Ischia, come Pompei, Sorrento ed altre località di fama. Come quest’ultimo, furono ospiti della nostra isola uomini di cultura francesi, inglesi, danesi, tedeschi, sovrani, artisti, scrittori, musicisti, pittori, drammaturghi e filosofi; essi come comuni mortali vivono in perfetta, gioiosa armonia con gli uomini e le cose che li circondano. Paolo Buchner, nella lunga nota introduttiva all’opera, si riserva anche lui una pagina traboccante ammirazione e amore per la nostra terra, confondendo così la sua voce con la voce di coloro che prima di Iui avevano cantato quest’isola di sogno. Nella introduzione egli dirà ancora, alludendo alla natura del paesaggio ischitano: «Le cose graziose e amabili si mescolano in modo meraviglioso con quelle grandiose e solenni». E poi continua, da scienziato che osserva però con amore: « Dalla cintura di boschi di castagni si innalzano sopra Casamicciola e in direzione di Forio le pallide pareti scoscese dell’Epomeo, e laddove il pendìo diventa più lieve sostituiscono i boschi i vigneti terrazzati con indicibile fatica. Questi, poi, fanno posto agli ampi fertili pianori coltivati ad ortaggi, nei quali prosperano splendidi pomodori, melanzane e peperoni. Le alture che sono davanti al massiccio dell’Epomeo, la Costa del Lenzuolo, il Monte Toppo, la cupola smussata del Rotaro, mostrano man mano forme sulle quali l’occhio riposa e solo raramente si alternano ed esse scenari più selvaggi, come la cupola che si erge ripida e che oggi ospita il Castello, oppure il più cupo ammasso roccioso del Montagnone. II lato meridionale dell’isola ci porta in un mondo completamente diverso. Qui la montagna non si precipita verso il basso con pareti scoscese, bensì cime e creste si susseguono l’una all’altra in un gigantesco pendìo tagliato da innumerevoli gole; tale pendio occupa la superficie tra Barano e Serrara e finisce solamente a mare. Già immediatamente dietro la cresta iniziano queste gole simili a profondi solchi, ma subito dopo si raccolgono in canali sempre più profondi che ben presto si trasformano in gole, le cui pareti, alte cento e più metri, si aprono improvvisamente alla grande spiaggia dei Maronti. I forestieri solo raramente penetrano in questo mondo impraticabile e fantastico, ma chi si avventura in questi sentieri scoscesi e che rende così accessibili, viene ampiamente ricompensato... Là dove si trova qualche pianta di vite i contadini I’hanno coltivata su piccole zolle a cui si accede con sentieri molto faticosi. Gli uomini hanno perforato gole e costoni che impedivano il cammino, hanno superato ripidi precipizi attraverso canali artificiali profondi molti metri, così ogni passo è fonte di nuove sorprese. Là dove, però, la spiaggia dei Maronti arsa dai raggi solari termina, si aprono ai due lati enormi e inquietanti pareti scoscese e il mare blu scuro giunge al capo di San Pancrazio dimenticato da Dio, alla solitaria Punta Chiarito e alle piramide di Capo S. Angelo. Ma chi non vuole limitarsi solo ad ammirare questa rara molteplicità, ma bensì vuole comprenderla. e con ciò goderla due volte, deve per forza di cose informarsi sulla drammatica storia della loro origine, allora tutte queste alture e avvallamenti, le gole e i precipizi, i promontori e il porto circolare cominceranno a parlare, allora non solo diventerà chiaro che tutte queste forme nel corso dei secoli si sono sviluppate, come quelle di un essere vivente, bensì che al di fuori di tutto questo ciò che forma I’isola, la flora cosi diversa da quella di Capri, il patrimonio idrico, la ricchezza di fonti termali, cosi come il timore dei terremoti, la storia dei suoi insediamenti e l’industria della terracotta una volta così importante, affonda le sue radici nella geologia». In conclusione, mi auguro che Gast auf Ischia venga tradotto in italiano perché molti isolani e non possano goderne la lettura. Si ringraziano Il prof. Giorgio Buchner per le informazioni fornite e la preziosa collaborazione e tutti gli amici che mi hanno aiutato nella traduzione del testo.

                                                               Antonina Garise


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